FRANKLIN DELANO, Like A Smoking Gun In Front Of Me (Madcap Collective, 2005)

De tempo si va configurando una nuova linea di pensiero: il più grande nemico del rock italiano è il rock italiano stesso. Sì perché stiamo tutti qui a lamentarci di quanto poco la nostra musica sia considerata all’estero e di quanto siamo considerati l’ultima ruota del carro e nel frattempo non ci accorgiamo di certe piccolissime realtà che, passo dopo passo, non solo ce lo mettono beatamente nel culo suonando nella lontana America, ma addirittura raccolgono il seminato in maniera molto più efficace che qui da noi. Ovviamente è colpa del governo ladro e dell’erba del vicino che è sempre più verde, però i fatti sono che i bolognesi Franklin Delano da fine marzo a fine maggio se ne sono andati bellamente negli States e noi possiamo solo fargli: “Ciao ciao” con la manina.

Il loro secondo “Like a smoking gun in front of me” non solo è un disco di una bellezza mostruosa, ma è anche un’opera che può veramente rappresentare qualcosa di importante. Forse non sotto il profilo strettamente musicale – i professorini staranno già obiettando che i Thin White Rope e i Red House Painters facevano queste cose secoli fa – ma sotto il profilo puramente filosofico. Sì perché partendo dal basso e con un profilo basso, facendo piccoli passi, ogni gruppo che presenta una proposta musicale quantomeno valida può realizzare il suo più grande sogno: suonare all’estero (per la droga e le donne ci sentiamo al prossimo giro). E sotto questo punto di vista Paolo Iocca e compagne (Marcella Riccardi e Vittoria Burattini, ex Massimo Volume) possono essere veramente presi come esempi.

Ma parliamo di musica, sì perché nell’arco di dieci canzoni i tre cow boy compensano anni di tradizione folk statunitense, li mescolano attraverso le tempeste di sabbia del deserto, li intingono nella psichedelia e li dilatano infine in una variabile moderna che rende “Like a smoking gun in front of me” un omaggio sentito e personale alla musica americana in maniera totale. Poi, liberissimi di trovarla noiosa, monotematica, reiterata e così via. I gusti non si contestano, solamente non riusciamo a non sentire nostre queste atmosfere che puzzano di strada cotta al sole, di ombre di cactus e di caldo soffocante, di stivali e cavalli. Perché è l’infinito che viene racchiuso sotto forma di cd e se avete consumato i dischi dei Califone (tra l’altro, Brian Deck ha pure mixato il disco a Chicago, per dire quanto sono avanti i nostri) non potete esimervi da innamorarvi di questo disco. Se la smettessimo di aspettarci rivoluzioni copernicane dal rock, staremmo molto meglio, ecco il segreto dei Franklin Delano.

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