MORRISSEY, You Are The Quarry (Attack Records, 2004)

E’ bizzarro come un mondo abituato a bruciare tutto in fretta come quello del rock inglese, si sia trovato ad attendere, quasi rappresentasse la propria salvezza, il nuovo disco di Morrisey. Suona come uno scherzo del destino, una vendetta per aver accolto troppo spesso con sufficienza i dischi del Nostro. Conoscendolo, viene da pensare che Morrisey abbia giocato d’astuzia, mettendo sette anni tra l’ultimo “Maladjusted ” e questo “You Are the Quarry”, e lasciando crescere l’attesa del pubblico e della stampa.

Sarà per questo o sarà forse perché é uno dei migliori dischi solisti del cantante di Manchester, fatto sta che Morrisey è tornato al centro della scena musicale britannica. Che poi è il posto che gli spetta di diritto, visto che resta senza alcun dubbio il più acuto e sensibile autore di testi che l’Inghilterra abbia prodotto negli ultimi vent’anni.

Si avverte immancabilmente la sua profondità anche in “You Are the Quarry”, perché a dispetto di qualche sbavatura negli arrangiamenti, è la forza delle canzoni e delle parole ad emergere. Un modo come un altro per mettere in soggezione tutta o quasi la scena indipendente inglese. Prendete il brano in odore degli Smiths più ruvidi intitolato “How Can Anybody Possibly Know Hot I Feel?” – per inciso, chi altro avrebbe potuto trovare un titolo così? – dove Morrisey condanna chi approfitta di un’uniforme per sfogare la propria brutalità con poche frasi taglienti: “Because you wear a uniform, a smelly uniform and so you think you can be rude to me / but even I as sick as I am I would never be you”. Parole che valgono da sole più di tutta la retorica ascoltata negli ultimi anni di musica impegnata.

La sensibilità che Morrisey mette in queste canzoni e in questi testi è un dono unico. Lo fa nel ritratto velenoso che dà dell’America, “America is Not the World”, e soprattutto in “Irish Blood, English heart”, un attacco all’ipocrisia di una certa Inghilterra e alla sua monarchia. Lo fa ripercorrendo i tormenti di “I have Forgiven You Jesus”, dove il bersaglio è questa volta la religione cattolica.

E che sia un maestro nell’inventare titoli fulminanti lo dimostra “The World is full of Crashing Bores”, un impasto di sensibilità pop come non lo si ascoltava da tempo. Poco più avanti sono il tono vivace di “First of the gang to die” e di “Let Me kiss You” a diffondere quella stessa aria di leggerezza, fatta di melodie pop perfette. E a chiudere tutto “You know I couldn’t last”, ballata lieve ed elegante, un ritratto dell’artista pop, uno degli apici del disco.

Così, nonostante suoni come un lavoro tutt’altro che perfetto – quelle chitarre troppo sopra le righe e quelle tastiere usate con troppa disinvoltura – “You Are the Quarry” è dotato di una tale forza e di una tale ispirazione da non lasciare scampo.

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