Intervista a Black Forest / Black Sea

E’ appena finito il concerto alla Locanda Atantide, la gente comincia pazientemente a sfollare, qualcuno si rifugia nella birra. Jeffrey Alexander è di nuovo sul palco, sta sistemando il violoncello di Miriam Goldbergnella custodia. Ci avviciniamo per un breve scambio di battute.


Che brano è quello che avete suonato subito dopo la pausa, come primo bis? Quello per cui vi siete scusati in anticipo, visto che non l’avevate mai provato…

Ah, sì… è un brano del folklore ebraico. Sinceramente non ne conosco il titolo, non l’ho mai saputo, ma sicuramente Miriam, la mia fidanzata, lo sa. E’ lei che ha proposto di suonarlo. So che è un canto popolare molto antico, risale a migliaia di anni fa…ma il titolo, proprio no…


Ok, chiederemo a lei… cosa ne pensi piuttosto della scena folk? La nuova scena folk americana…

Oh, certo, la nuova scena folk…bè, posso dirvi che siamo tutti amici, ci vogliamo bene. Veramente, sono tutti miei amici, ci piace suonare insieme. Ci capita a volte di spostarci tutti in massa da un posto ad un altro, pur di suonare insieme. E’ veramente splendido…potremmo dire che è una sorta di comunità a sé…


Nella vostra musica appare abbastanza facile distinguere due facce: una rivolta verso la musica popolare, la musica acustica, e l’altra verso l’avanguardia sonora, un approccio più vicino al rock. Ti riconosci in questa descrizione?

Sì, direi decisamente di sì. E’ vero, sono convinto anche io che la nostra musica abbia due facce, e mi piace proprio per questo. Io adoro la musica acustica, ma è anche vero che ho una passione per l’avanguardia e per il rock, quindi mi piace mischiare. Insieme a Miriam ci siamo detti “bene, se ci piacciono entrambe le cose facciamo un po’ una cosa è un po’ l’altra”…


Bè, ora vorremmo qualche informazione sull’Omnichord che Miriam ha suonato in un brano: lo vogliamo noi!!! Dove lo avete trovato?

Eheheh…è facile, E-Bay….


L’hai comprato su E-Bay?

Sì…l’ho trovato lì…e non è costato neanche tanto. Mi pare una cifra come 65 $, più o meno…non male vero?


Già, davvero non male…ma come funzione, per flussi magnetici?

(a questo punto Jeffrey, che aveva staccato già tutta l’amplificazione, la riattacca e va a collegare l’Omnichord).

Vedi, è facile. Premendo questi tasti qui fai le note maggiori (suona un Sol dimostrativo), poi così fai le minori (e tocca al Sol minore) e poi sotto ci sono le settime…e poi, quando premi una nota, metti un dito qui e…(poggia il dito su un pannello laterale e lo va scivolare verso l’alto. La nota sale di un’ottava). Dai, prova tu.
(Mi porge lo strumento. Mentre Daria sghignazza faccio un rapido Re, Sol, Sol minore. Il suono è splendido e mi dichiaro soddisfatto).
Visto, è facilissimo. E’ veramente facile da suonare, no?


Sì, ma è magnifico.

Sì, è vero. E’ grande.

(A questo punto salutiamo Jeffrey ringraziandolo. Poco prima di uscire dal locale abbiamo l’occasione per scambiare due battute anche con Miriam).


Lo abbiamo già chiesto a Jeffrey… come si chiama la canzone che hai cantato in ebraico?

Oh, quella? Non so, non credo abbia un titolo, è uno dei Salmi di David… è tratto dalla Bibbia…è rimasto un canto popolare per gli ebrei, credo… mi piace perché è un testo veramente insolito, così particolare… folle… praticamente parla tutto il tempo di pecore…e pecore qua e pecore là… pecore, pecore, pecore…

(si intromette uno degli accompagnatori del gruppo, dall’accento fortemente inglese, che gli fa notare come abbiano tratto ispirazione da lì anche i Pink Floyd quando hanno composto “Sheeps”)

Oh…davvero? Non ci avevo mai pensato…ecco, ora mi vergogno a dirlo, avrei dovuto conoscerla, ma proprio non me la ricordavo…lo so, dovrei conoscerla…che vergogna…


Abbiamo avuto l’impressione che durante il live abbiate improvvisato molto…

Oh, sì, decisamente…

Come vi avvicinate alla dimensione live rispetto al lavoro fatto in studio?

Oh, bè…a dire il vero io odio totalmente il lavoro in studio, lo trovo orribile, orribile.
Questa logicamente è una cosa mia, personale: so che ci sono molte persone che preferiscono la purezza del suono levigato in uno studio ma il problema è che io non mi sopporto quando mi riascolto: trovo tutto orribile, la piattezza dei suoni, quella sensazione strana che tutto quello che hai fatto sembra di plastica. Orribile, non c’è altra parola per definirlo. Infatti l’album è stato registrato per gran parte dal vivo, dopodiché i pezzi hanno subito un processo di editing, sono stati tagliati e abbiamo lavorato sulle sovraincisioni. Ma le registrazioni vere e proprie sono dal vivo.

Un’ultima domanda, la abbiamo già fatta anche a Jeffrey: cosa ne pensi della nuova scena folk americana?

Oh, bè… la verità è che credo che le scene musicali siano quasi sempre una semplificazione ad uso e consumo delle riviste musicali. Sicuramente a Philadelphia c’è molta gente che suona folk…io adoro Philadelphia, è una città che sento profondamente mia, ci ho vissuto fin da quando ero bambina. Moltissimi amanti del folk si spostano e vengono a suonare e ad ascoltare musica a Philadelphia. E poi ho così tanti amici che fanno folk…ad esempio Christina (Christina Carter, chitarrista folk, compare in due brani di “Forcefields and Constellations” dei Black Forest/Black Sea, N.d.A.)…bè, io adoro follemente Christina, è una persona che stimo e che sento molto vicina a me. Ma così come anche Fursaxa o Sunburned Hand of the Man…Philadelphia ha veramente una scena folk molto viva…molti artisti vengono anche dalla scena underground di New York…

(Abbandoniamo, soddisfatti, anche Miriam che si trascina dietro una bottiglia d’acqua e appare contenta. Nonostante il pubblico non fosse numeroso, l’accoglienza ricevuta è stata decisamente trionfale. Un bel modo di inaugurare il rapporto con il nostro paese).