PERE UBU, The Modern Dance (Blank, 1978/DGC, 1998)

Un fastidioso fischio industriale apre la “danza moderna” dei Pere Ubu, nome tratto dalla piéce teatrale di Alfred Jarry – autore surrealista – “Ubu Roi” e attitudine musicale che si sposa sia con gli sconvolgimenti musicali in corso (punk e new wave) sia con la tradizione dell’avanguardia sonora.

Proprio il fischio già citato al quale si accompagna il basso nell’attacco di “Non-alignment Pact” ne è un esempio perfetto, canto dissonante su un tappeto new wave al quale si aggiungono rumorismi vari e stranianti. E l’attitudine esplode nella title-track, che procede tra sbuffi di vapore, ticchettii sottili, e una base ritmica avvolgente e paranoica, prima che il ritmo si spezzi procedendo in un’atmosfera meticcia, nella quale si sovrappongono un vociare indistinto e un catartico senso di vuoto, destinato a diventare nel finale puro rumorismo, con chitarre distorte a far da contorno.

Questa è la creatura deforme partorita dalla mente di David Thomas, leader carismatico della band, alle cui sonorità folli aggiunge una voce sgraziata, disarmonica, instabile e teatrale. Cercare di catalogare il lavoro d’esordio dei Pere Ubu è davvero questione ardua: l’avanguardia di un brano come “Laughing” è a pochi passi dal jazz come vicino al rock e al folk (l’armonica a bocca), e mantiene suo malgrado una capacità melodica – certo, melodia della disarmonica, ma sempre melodia – invidiabile.

“Street Waves” è una spettrale ricerca delle origini del rock, con un tappeto musicale elettrizzante sul quale si stende la voce stressata di Thomas, e con uno splendido ritornello pop che ricorda i lavori che nello stesso periodo e nello stesso “salotto culturale” stanno sfornando i Talking Heads. L’assolo di chitarra centrale è a dir poco strabiliante, corrosivo e al contempo decadente. “Chinese Radiation” è il papà di molti brani che nei decenni a seguire renderanno celebri i Sonic Youth di Thurston Moore e Kim Gordon, con un’andatura catartica pronta ad esplodere nel più selvaggio dei caos sonori.

Gli altri punti di forza della band sono Tom Herman, che alla chitarra destrutturalizza l’idea di riff tipico della tradizione rock (da Chuck Berry a Keith Richards), mentre Scott Krauss e Tony Maimone compongono una sezione ritmica complessa e variegata. “Real World” sembra essere uscita da un esperimento sull’alienazione e sulla ricerca dei riverberi cosmici, mentre le dissonanze compongono una melodia malata e stralunata che ben si adatta allo spirito straniato di Thomas; sulla stessa lunghezza d’onda è anche “Over My Head”, capolavoro dell’album, disturbata e al contempo epica (con quegli stacchi di batteria), sussurrata in maniera maliziosa ed angosciata, sovraccarica nella sua semplicità, scarna nei suoi suoni lugubri e apolidi. L’elegia dell’alienazione. Un serie di rumori, tra i quali bicchieri infranti, fa da apripista a “Sentimental Journey” che chiude, insieme alla sincopata e ironica “Humor Me”, quest’album ostico, miracoloso nella perfezione del suo bilanciamento sonoro.

Un lavoro che sarà di fondamentale importanza per band quali Minutemen, Pixies, Husker Du, Public Image Ltd., in un filo musicale che legherà al nome Pere Ubu quello di Mayo Thompson, leader dei Red Crayola (e la line-up di quest’album parteciperà all’esperienza Red Krayola, con la K). Un capolavoro indiscusso della musica, senza dubbio alcuno.

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