THE WALLFLOWERS, Breach (Universal, 2000)

Per quelli che il rock… Gruppi come i Wallflowers non soffrono certo di crisi di post-modernismo o di ubriacature elettronico/tecnologiche. Il loro ultimo lavoro, “Breach”, li conferma come inamovibili paladini di un country rock assolutamente genuino e di immediato impatto. Certo, in alcuni episodi la genuinità va a scapito dell’originalità; a salvare la baracca ci pensa però una dignitosa collezione di melodie accattivanti che rendono l’album estremamente piacevole.
Il disco si apre con “Letters from the Wasteland”, brano da hit single, con il suo andamento alla Bryan Adams; ed effettivamente il cantante canadese sembra essere il ricordo più ricorrente mentre si ascolta questo disco; forse qui il suono risulta più grezzo e meno patinato, ma lo stile è certamente quello. Allo stesso modo “Some Flowers Bloom Dead” sembra uscita dalla migliore produzione dei Dire Straits.
Ma, come ben sappiamo, ben altra eredità si porta sulle spalle questo gruppo, che in realtà sembra semplicemente aspirare ad essere una dignitosa rock band. La voce di Jakob Dylan, cupa e a tratti rauca, sembra lontana anni luce dal gracchiante miagolio del padre Bob. Certo, brani come “Mourning Train” o “Up from Under” non possono non riportare alla mente le vecchie ballate country di Bob Dylan, dove una sola chitarra e una voce sonnacchiosa che recitava parole importanti, bastava ad emozionare intere generazioni; tuttavia, “Breach” è un’ulteriore dimostrazione di quanto i continui paragoni tra padre e figlio risultino inutili e sterili. I Wallflowers si pongono decisamente come gruppo “da radio”, da ascoltare magari sulle lunghe e polverose strade americane, o in quei bar sperduti nel Sud degli Stati Uniti. Certamente musica di facile consumo, ma comunque di ottima fattura e, cosa più importante (soprattutto coi tempi che corrono!), niente affatto scontata.

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