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Estragon, Bologna, 22 Marzo 2025.
Sul palco ci sono delle piume appoggiate in vasetti bianchi. La prima volta era a Bologna, nel 2015, al prestigioso Teatro Arena Del Sole, l’ultima è sempre a Bologna, all’Estragon (e la sera dopo a Milano, all’Alcatraz) nel 2025.
Dieci anni quasi esatti e una serie di domande che rimarranno probabilmente irrisolte.
La scelta di Benjamine Clementine, quello che era stato notato da un discografico mentre suonava nella metropolitana di Parigi, senza un contratto e senza una strada precisa nella vita, la scelta di pubblicare un ultimo album e un ultimo tour per poi dedicarsi al cinema sarà definitiva?
Questo ultimo album “Sir Introverts and the Featherwheights” che tutte le news indicano come in uscita il 14 febbraio 2025, dove è realmente, ora che sul sito è diventato “later this year”, più avanti quest’anno?
E che cosa sarà questo tour, che tra l’altro stasera è nella sua prima data europea dopo alcune date negli Stati Uniti a dicembre, questo tour sarà un addio, un rilancio, un best of, un momento libero per presentare le nuove canzoni?
In fondo il nostro ha oggi 36 anni e quella piuma che dice di voler lasciare, la musica, è una piuma giovanile, di quelle che si staccano con indifferenza, un segno di maturità, il cigno che diventa adulto, non è l’ultimo tour di addio di un artista che ha ormai settanta, ottanta anni e dichiara di non farcela più.
Quelli sarebbero i tour da non vedere, nessuno vuole dare l’ultimo saluto, lo facciamo più per dovere che per desiderio e la differenza tra le due cose è nel concetto stesso di vita.
Ma qui è tutto diverso: un ultimo album, un ultimo tour, ha detto, poi farò altro, il cinema, ha detto.

Siamo pieni di domande ed eccoci in un Estragon pieno più del previsto, dopo la piacevole introduzione di Beaven Well in stivali texani e voce e chitarra (mentre su disco è più vicino alle strutture dell’ultimo Perfume Genius) e alle 21.15, precise, entra, lui invece a piedi nudi, Benjamine Clementine.
A pensarci, a posteriori, la scelta finale dell’artista è quella di un concerto che lo mette man mano a nudo, come a ritornare agli esordi, alla sola voce, al solo piano, alla strada e al dialogo con chi c’è intorno a lui.
Perché l’inizio è opposto: ci sono in sostanza i brani più noti, ci sono cinque persone sul palco, ci sono leggere vibrazioni elettroniche, pulsazioni e chitarre e qualche arco, e c’è lui, microfono in mano, attitudine da crooner, quella voce così particolare che si distende per raccontare storie, amori, persone.
Man mano però la distanza tra palco e pubblico si assottiglia: l’artista chiede alle persone di cantare, tenta di parlare qualche parola di italiano, si apre al dialogo, arriva a dedicare diversi minuti a “Condolence” dal suo primo album, fino a trasformarla in una piccola messa collettiva, lenta e poi veloce, dove chiede al pubblico di ripetere ancora, ancora, ancora, forse troppo ancora, quel mantra: il mandare le proprie condoglianze alle proprie paure e alle proprie insicurezze.

E lo chiede così: “i send my condolence to paura, i send my condolence to insicurezza” e ti chiedi se è un rito collettivo o un mantra personale, se è ancora il primo Clementine, quello che usciva dalla strada e arrivava su palchi importanti in poco tempo o se è l’uomo di oggi, quello che ha esordito in “Dune” e che è protagonista dell’ultimo film di Steve McQueen, “Blitz” (su Apple TV), se ce lo stiamo dicendo a noi tutti o lo stiamo dicendo a lui, che può dare l’addio a questo mondo, che può spiccare il volo, lasciare a terra le piume di questa prima vita da musicista, o a noi, eterni irrisolti di questa epoca dove sembra tutto vicino a cambiare, come quando si avvicina un temporale e annusi l’aria diversa.
Anche perché sul palco lui ci sta benissimo, è in piena sicurezza: dialoga, lotta con una cimice, cita e canta Dalla e soprattutto riesce senza problemi a lasciarsi andare a momenti che sono ancora oggi pura luce di talento.
E man mano tutto sfuma: i musicisti scompaiono di scena e non torneranno più, il bis è solo voce e pianoforte, come tutto era cominciato (con quella “Cornerstone” che è ancora oggi un puro diamante di bellezza) e con uno studiatissimo momento in cui il cantante simula la fine del concerto, come se dovesse richiamare sul palco i musicisti, inondato dagli applausi, girato di spalle, si ferma a pensare, si mostra indeciso (eppure lo sapeva benissimo che l’avrebbe fatto) e poi si riavvicina al palco, al pianoforte, accenna a “Caruso” di Lucio Dalla, estende la voce fino ad essere perfetto e poi non ricorda la seconda strofa o forse non vuole cantarla, forse è troppo.
“That’s all” dirà, sorridendo.
E tutto finisce, per quel che sappiamo, solo dieci anni e ora una nuova vita, di nuovo, lui nato nel Regno Unito, emigrato in Francia per inseguire un sogno senza niente in mano e poi famoso, uomo di copertina e poi modello e poi attore, volto del cinema.
Piume ovunque, sul palco, piume di questi dieci anni: molte domande ci sono rimaste in mano, la sensazione è che sia più un arrivederci che un addio, tra le tante parole lui non l’ha detto mai “per me è l’ultima volta come cantante” eppure ha parlato tantissimo, dialogato moltissimo e a noi, pubblico rimane in mano una sola sicurezza.
Che c’è stata una luce accecante in questa carriera, che si è lievemente offuscata (ad esempio nel terzo, più incerto album) che l’uomo Benjamine Clementine non ha sicuramente smesso di poterci sorprendere e affascinare, un personaggio fuori dal tempo e che ha qualcosa di diverso da tutti gli altri.
E che forse aveva già detto tutto in alcune parole, di quella Cornerstone, quando diceva:
I've been lonely, alone in a box of my own (sono stato solo, solo in una scatola di me stesso)
They claim to be near me, but they're all lying, it's not true (Loro affermano di essere vicini a me, ma stanno mentendo tutti, non è vero)
I've been lonely, alone in a box of my own (sono stato solo, solo in una scatola di me stesso)
And this is the place I now belong (E questo è il posto a cui ora appartengo)
It's my home, home, home, home, home, home, home, home (È la mia casa, casa, casa, casa, casa, casa, casa, casa)
C’eravamo, a Bologna, a salutarlo alla sua prima e c’eravamo a Bologna, alla sua ultima e in ogni caso va bene così, che a volte certe storie sono veloci temporali estivi, a volte durano tutta la vita, ma siamo fatti di ognuno di questi momenti, di pelle e di piume, sotto cui nascondiamo la nostra identità.
E ora vediamo quella che sarà la prossima vita di Benjamine Clementine, lontano dai palchi.