Michele Ducci all’esordio solista, le 7 ispirazioni di “SIVE”

Esce venerdì 7 giugno l’esordio solista di Michele Ducci, la M degli ottimi M+A, duo pop elettronico di Forlì che sulla britannica Monotreme Records – che ha pubblicato anche questo album, “SIVE” – si erano fatti notare nel decennio scorso con “Things Yes” e “These Days”, valso alla band un posto nella lista delle “migliori nuove band del 2014” del The Guardian e biglietto da visita per un’esperienza sul Pyramid Stage di Glastonbury e alla Biennale di Venezia.

Il duo ha poi formato un nuovo progetto, Santii, che ha coinvolto diversi artisti hip hop tra cui Rejjie Snow, Mick Jenkins e il produttore musicale Supah Mario (Drake, Young Thug), pubblicando due EP con Sugar, prima di abbandonare il percorso al fianco della label italiana.
Un breve periodo in un’altra band ha portato Michele a capire che voleva fare musica da solo, lontano da pressioni commerciali o di carriera esterne. Dice Michele: “Sono tornato nella casa dove sono nato e dove ho iniziato a suonare. Dopo la pandemia non avevo praticamente più strumenti, tranne una chitarra a tre corde e una pianola. Avevo bisogno di fare un disco che non ero mai riuscito a fare e che avevo sempre sognato di fare. Qualcosa di molto essenziale: con il pianoforte e la voce”.

“SIVE” abbraccia una vasta gamma di stili molto eterogenei, pur coerenti nelle sonorità e nel timbro molto riconoscibile di Michele Ducci: dai toni sognanti d’autore di “Feelings”, “Here You Are” e “Nonesome” all’avant-pop di “You Lay the Path”, all’RnB di “Just Because” e alla poesia beat percussiva di “Hic”. L’apertura dell’album e il primo singolo, “River”, è una ballata struggente che si snoda come il suo titolo, aprendosi con la tranquilla intimità di voci sommesse e pianoforte e descrivendo il momento in cui desiderava lasciarsi alle spalle il mondo della musica: “Chiamano il mio nome ma io sono un fiume”.

Per raccontare il suo recente percorso artistico e musicale, Michele Ducci, presenta il suo esordio solista attraverso 7 ispirazioni.

Lightnin’ Hopkins – “Woke up This Morning” da “Lightnin’ Strikes, Vol. 1”
Lo metto su quasi ogni volta che io e Letizia facciamo gli acquarelli. In particolare “Woke up This Morning”. È sporco, alcune parti di “solo” sembrano partire in stato di ubriachezza. Ed è perfetto così. Sembra che si sia svegliata una caverna che si porta appresso quel che rimane del wishky di tutti quelli che nella caverna hanno festeggiato durante la notte. 

Kirlian Camera – “Veronika Voss (Memories Are Made Of This)” da “Erinnerung”
Questa è forse l’ispirazione che mi ha da sempre pervaso nel corso di tutto il tempo in cui mi ossessionava e compulsava l’idea di fare un disco piano e voce. È bellissima. Mi ci sono imbattuto tramite il bellissimo film di Fassbinder “Veronika Voss”.

The Strokes – “I’ll Try Anything Once (“You Only Live Once” Demo)” da “Heart in a Cage, B Side”
È la prova provata che il detto che spesso si vuole confutare, cioè che le “demo sono più belle”, delle volte è un detto sacrosanto. Questa canzone, famosissima per altro, è ovviamente d’ispirazione. Non non posso non citarla perché l’idea di Sive era proprio di trattare le canzoni, in rapporto a come le ho sempre prodotte in precedenza e con altri, come questa canzone in rapporto a quella ufficiale pubblicata a nome Strokes. 

Gil Scott-Heron – “The Flying Dutchman Mastersda “The Revolution Begins”
Tutto il ritmo della sua voce è una ispirazione integrale. Per “Hic” avevo in mente questo disco e Gil Scott-Heron e Jamie xx in “NY Is Killing Me”.

Nick Drake – “From the Morning” da “Pink Moon”
Quando scrivo mi immagino spesso Nick Drake tutto al pianoforte. È semplice immaginazione perché le armoniche del piano sono completamente diverse dalle arie della chitarra, ma sta di fatto che lo immagino così e quando scrivo mi trovo in questa situazione di piano e voce che penso come una chitarra e voce, e viceversa.

Syd Barrett – “The Peel Session”
Avrei potuto metterne altri. Anche lui è una ispirazione generale del disco… In particolare sempre per i suoni apparentemente poveri, non governabili ma con qualcosa che punge senza che io lo voglia. La voce, le linee melodiche e la chitarra…Non me ne vogliano i fan dei Pink Floyd, ma i Pink Floyd sono la versione epic metal tamarra, specie quando partono i ritornelli, di questa cosa molto più sobria che era Syd Barrett.

Lou Reed – “Berlin”
Dai suoni del pianoforte, alla voce sempre incredibile di Lou Reed, questo disco è sempre una chicca. In particolare proprio  “Berlin” perché la canzone è immersiva. Si mischia ai suoni dei bicchieri, a presenze da città che mi ricordano molto, non so perché, rispetto a Berlino, Karl Rossmann in “America” di Kafka… Oppure mi fa venire in mente come tratta il suono Bruno Dumont nel mitico film Ma Loute.