FAYE WEBSTER, “Underdressed at the Symphony” (Secretly Canadian, 2024)

Nel 2017, poco dopo essersi iscritta alla Belmont University di Nashville, Tennessee, per studiare songwriting, Faye Webster era tornata sui suoi passi: aveva deciso di provare a costruire da sé la sua traiettoria artistica, trasferendosi nuovamente ad Atlanta, a casa dei genitori, ai quali aveva promesso che avrebbe continuato il college se non fosse diventata una musicista di successo. All’epoca di questo giuramento Faye Webster era poco più che teenager, ma aveva già un album all’attivo, “Run and Tell”, pubblicato nel 2013 all’età di 16 anni. Insomma: non si può dire che l’artista di Atlanta non abbia sempre avuto le idee chiarissime.

All’alba del 2024, Faye Webster ha quasi ventisette anni e ha pubblicato da poco il suo quinto disco, “Underdressed at the Symphony”, che sin dai primi minuti somiglia tanto all’opera della maturità definitiva, completando idealmente un percorso di crescita che in questi anni è apparso piuttosto costante e lineare. Nel solco di quella genuina e fanciullesca ironia che abbiamo già conosciuto con la copertina di “Atlanta Millionaires Club” e con il nome dell’ultimo album, “I Know I’m Funny haha”, il titolo del nuovo lavoro firmato Faye Webster ironizza su un episodio autobiografico piuttosto curioso, con l’artista che aveva acquistato i biglietti per l’orchestra sinfonica ad Atlanta in extremis e non aveva avuto il tempo per indossare abiti adeguati alla circostanza.

“Underdressed at the Symphony” stipa dieci brani in meno di quaranta minuti musica e conserva alcuni tratti della cantautrice in orbita folk rock che abbiamo conosciuto in questi anni, ma cerca nuovi slanci in un romanticismo r&b/soul e in un jazz sospeso e cinematografico, oltre che in qualche pulsione country disseminata qua e là. Di quella viscerale e spontanea ricerca di sensualità è perfetta espressione “Thinking About You”, l’opener, che è anche il brano più lungo del lotto grazie a una coda che si trascina ostinatamente oltre l’immaginabile, con un effetto ipnotico e un piano mellifluo dal gusto jazzato.

“Underdressed at the Symphony”, però, non è solo questo e sono due episodi in particolare a raccontare di un rinnovato gusto compositivo: “But Not Kiss”, negli intenti una anti love song, espressivamente di grande impatto, ma dalla geometria decisamente più sghemba e quasi controintuitiva, con il piano che assurge a fulcro della narrazione con i suoi saliscendi e le sue piccole deflagrazioni, alimentando un caos comunque ordinato; “Lego Ring”, con l’amico Lil Yachty, che incede fra distorsioni e autotune e rappresenta per questo un approdo potenzialmente inatteso, quanto ben calato, nel (nuovo) contesto musicale di Faye Webster.

Faye Webster ha raccontato di ispirarsi ai Wilco, per i quali è stata artista d’apertura in più di un concerto e dei quali si riconosce qualche influenza in alcune architetture musicali più barocche e meno istintive, come “He Loves Me Yeah!”, ma anche la già citata “But Not Kiss” può rappresentare un altro esempio di questo tipo. Rispetto a Jeff Tweedy e soci, nel sound di “Underdressed at the Symphony”, il jazz è stella polare, non semplice influenza, per quanto tangibile: sono questi gli approdi di “eBay Purchase History” o della titletrack, i cui arrangiamenti, sospesi fra urgenza di leggerezza e una certa eleganza, si concedono anche echi vagamente psichedelici e dal retrogusto country nelle loro calde rarefazioni.

Il tratto comune di “Underdressed at the Symphony” è un velo di languore nelle linee vocali persino più che nella musica anche nei suoi passaggi più immediati: “Lifetime”, che cuoce a fuoco lento ed esalta tutti i lati più emotivi di una personalità e di una scrittura che trova nella conclusiva “Tttttime” uno dei suoi punti più alti, con un altro bell’esercizio di commistione fra jazz e country, spesso percettibile fra le pieghe dell’album.

Più che la folgorazione di un’opener particolarmente indovinata e brillante, più che la scia positiva dei minuti successivi o le sensazioni alimentate anche da una buona prima parte di carriera, “Underdressed at the Symphony” è con poco margine di dubbio l’opera più compiuta e riuscita dell’artista di Atlanta. Affrancatasi quanto basta dalla sua comfort zone artistica, Faye Webster oggi incarna la sintesi ideale fra il giusto grado di innovazione nell’approccio e intuizioni che mantengono un legame con ciò che è stato, evitando punti di rottura potenzialmente traumatici, e “Underdressed at the Symphony” vale un posto di diritto nella folta cerchia di artiste che stanno scrivendo belle pagine di storia del cantautorato femminile contemporaneo.

 

80/100

(Piergiuseppe Lippolis)