Viviana D’Alessandro Awards 2023

Dieci dischi dal 2023

Bono / Burattini, “Suono In Un Tempo Trasfigurato” (Maple Death)

Senza dubbio il disco italofilo più lodato dell’anno. E non parlo solo di provenienza geografica, anche se il neo-nato duo bolognese formato dalla cantante e fondatrice degli Ofeliadorme Francesca Bono e la percussionista poliedrica dei Massimo Volume Vittoria Burattini soddisferebbe a pieni voti anche questa mia richiesta. “Suono In Un Tempo Trasfigurato”, esordio uscito per la Maple Death Records, affonda le mani direttamente nella ricca tradizione italiana del jazz cosmico, nella library music e il lavoro senza eguali degli ingegneri della RAI che lavoravano con il Gruppo Di Improvvisazione Nuova Consonanza, passando per Morricone e Daniela Casa. Composto quasi esclusivamente con i suoni accoglienti e pastosi di un vecchio sintetizzatore Juno-60 e quelli ariosi della batteria organica, è la sintesi perfetta fra l’elettronica contemporanea e la patina hauntologica delle colonne sonore sci-fi d’epoca.

Junko Ueda, PoiL – “PoiL / Ueda” (Dur et Doux)

L’ultima avventura del gruppo avant-prog/zeuhl francese PoiL li ha portati a collaborare con la cantante shomyo Junko Ueda, che condisce questo put-purri con il suono del satsuma-biwa (il liuto giapponese). Un album che a tratti assomiglia più a un rito sciamanico che a una composizione musicale vera e propria, che mescola con veemenza groove sghembi e complessi con climax iper-drammatici di voci compresse. Aggiungete a questa stranezza il fatto che sia ispirato a un racconto di epica medievale giapponese del XIII secolo su una guerra sanguinosa fra clan chiamato Heike-Monogatari e avrete quello che i Magma avrebbero potuto fare se fossero atterrati in Asia viaggiando da Kobaïa.

Rắn Cạp Đuôi, “*1” (Nhạc Gãy)

Da anni il collettivo vietnamita Rắn Cạp Đuôi milita nei club di Saigon sul confine slabbrato fra sound art ed elettronica sperimentale, e “*1” è il loro secondo testamento (dopo “Ngủ Ngày Ngay Ngày Tận Thế” per la berlinese Subtext). Flussi non lineari di trascendenza richiamano qua e là trame di IDM, plunderphonics e deconstructed club che entrano e fuoriescono continuamente dal mix. L’ascolto più onnivoro che farete quest’anno.

Martyna Basta, “Slowly Forgetting, Barely Remembering” (Warm Winters Ltd.)

Dal liuto alla cetra (più precisamente, lo zither), il disco di Martyna Basta, chitarrista classica di formazione ma qui in vesti più elettroacustiche, è capace di creare un immaginario, per quanto ottundente, intorno al labile concetto di memoria. Le melodie appena accennate dalla corda o dalla voce (in “It Could Be As It Was Forever” di Claire Rousay), il rosicchiare dei fraseggi musicali e le risonanze astratte sono le madeleines di Basta per un esercizio contro una massima fondativa del pensiero occidentale: ricordare è possedere.

Doon Kanda, “Celestial” (Hyperdub)

Una serie di melodie delicatissime composte da Kanda “l’estate scorsa mentre guardavo le libellule luccicare nei campi e ascoltavo la sinfonia degli insetti”. Garantito al 100% che vi sentirete come una falena in volo.

Annelies Monseré, “Mares” (Horn Of Plenty)

Come membro della scena musicale sperimentale di Gand, negli ultimi vent’anni la musicista belga Annelies Monseré ha lentamente affinato un approccio singolare alla musicalità, passando da scarne opere strumentali per pianoforte verso arrangiamenti sempre più complessi che offrono un posto centrale alla sua voce, costruendo un territorio straordinariamente bello e unico che si bilancia elegantemente tra rigoroso sperimentalismo, minimalismo, drone e musica folk europea (perno del disco è la cover di “Sally Free & Easy” di Cyril Tawney). Ed è proprio questa visione del territorio acustico come essere stratificato – paragonabile alla sovrapposizione di toni nella pittura timbrica per Monseré – a rendere “Mares” un disco di intensa poeticità capace di restituirci la porosità del presente musicale.

Marina Herlop, “Nekkuja” (PAN)

L’ultimo progetto di Marina Herlop si arma della progettualità di una giardiniera per creare un immaginario sonoro che, come in “Pripyat” (PAN, 2022), parte dal naturale per divenire progressivamente utopia. Le melodie ricamate dal pianoforte giocoso di Herlop si intrecciano con crescendo orchestrali di voci aliene dando vitalità al disco mutant-pop (ndr. Maria Arnal, Daniela Pes, Eartheater) dell’anno.

Ziùr, “Eyeroll” (Hakuna Kulala)

PRETENDI L’ISOLAZIONISMO DRONICO
PRETENDI LA FUORIUSCITA DAL SOLIPSISMO DELL’ARTE QUEER
PRETENDI LA PIENA ROTOTOMIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ

Liturgy, “93696” (Thrill Jockey)

Un opus magnum di 80 minuti che mescola teoria messianico-escatologica, umanismo apocalittico e black metal “trascendentale” (nella unica e possibile definizione di Hunt-Hendrix). Un viaggio che vi sembrerà infinito e ipnotico, perché fa propria la potenza differenziatrice della ripetizione, e in particolare dell’attimo prima della fine:

“Transcendental black metal sacralizes the penultimate moment, the “almost” or the “not yet”, because it has been found that there is nothing after the penultimate moment. The penultimate moment is the final moment, and it takes place at every moment. The fabric of existence is open. There is nothing that is complete; there is nothing that is pure” (Hunt-Hendrix, 2009).

Titanic, “Vidrio” (Unheard of Hope)

Spaccato fra freak free jazz, chamber pop e canzone d’autore, l’unione di forze fra il polistrumentista messicano Hector Tosta e la violoncellista guatemalana Mabe Fratti riflette ed espande sapientemente diverse tradizioni musicali di riferimento. Un disco che funziona letteralmente per rifrazione.

Playlist 2023

Un saluto a Ryūichi Sakamoto.

(Viviana D’Alessandro)