Sufjan Stevens annuncia l’uscita del nuovo album “Javelin”

Annunciato da lui stesso come il “primo vero album da cantautore sin dai tempi di Carrie & Lowell“, Javelin è il disco che Sufjan Stevens pubblicherà il 6 ottobre per l’Asthmatic Kitty. Ad anticiparlo è stata pochi giorni fa “So You Are Tired”, una splendida ballata romantica che parla della fine di una relazione. Stevens ritorna così al “suo” folk polifonico, enigmatico e poetico che è la cifra stilistica che più lo contraddistingue e che ha portato alla nascita di capolavori come Illinois e il già citato Carrie & Lowell. Javelin è il primo LP in studio solista di Stevens da The Ascension, pubblicato nel 2020, e, come già detto, “his first true singer-songwriter album since Carrie & Lowell“. A oggi l’ultima pubblicazione discografica di Stevens è stata un disco in collaborazione con l’amico cantautore Angelo De Augustine uscito nell’autunno del 2021. A dare una mano a Stevens nel nuovo disco sono diversi amici e anche Bryce Dessner dei National, che partecipa al brano “Shit Talk”. Stevens ha anche curato la cover del disco e insieme a esso pubblicherà anche un libro di 48 pagine contenente “a series of meticulous collages, cut-up catalog fantasies, puff-paint word clouds, iterative color fields [and] 10 short essays by Sufjan”.

A un ascolto approfondito, “So You Are Tired” appare brillante e vivida e si configura come un grande ritorno per Stevens. In essa il cantautore raccoglie i cocci di una relazione che si è ormai sfaldata. Scritto, arrangiato, suonato e prodotto quasi interamente dal solo Stevens, il pezzo recupera sonorità provenienti sia dai suoi migliori dischi degli Anni Duemila – alcuni passaggi sembrano giungere da Seven Swans – e tiene presente la “lezione” dei suoi album più recenti e della bellissima “Mystery of Love”, uscita nel 2017 e candidata agli Academy Award come miglior canzone originale in un film (era presente in Call Me by Your Name di Luca Guadagnino). «I was a man indivisible / When everything else was broke», canta Stevens mentre sembra spogliarsi di tutto fino a mostrare l’essenza diafanica della sua anima. È quasi una confessione che cede ai propri limiti e alle proprie incertezze per evitare di stigmatizzare le fragilità che ci avvincono e che talvolta ci vincono. In una klimax che è più conciliante che destabilizzante, pianoforte, chitarre, cori e archi si aggiungono passo dopo passo nel cammino del brano, si fondono tra loro e si rincorrono amalgamandosi con naturalezza e con grazia ai versi che Stevens canta; il tutto crea un habitat di paradiso instabile e transitorio, che nel provare a fornire vie di fuga e risposte lascia ombre e domande, come molte grandi canzoni fanno: «So rest your head / Turning back all that / We had in our life / While I return to death».