“Meet me in the bathroom”, il libro

“Mentre scrivevo questo libro, ho continuato a ribadire che era un libro che non apparteneva a nessuna persona o band in particolare”, racconta Lizzy Goodman nelle note finali di “Meet me in the bathroom”.

Un libro che ha fatto un certo scalpore, tanto da diventare un ambizioso documentario (attualmente noleggiabile in versione sottotitolata su diverse piattaforme di streaming italiano, pur non essendo uscito al cinema in Italia) e che ha un obiettivo preciso: raccontare New York nel passaggio tra la fine dello scorso millennio e i primi anni duemila.

Un momento, un istante, in una città così importante: eppure come raccontato lungo oltre cinquecento pagine dense di interviste, sembra essere passata una mezza rivoluzione in poco tempo.

Dalla piccola fiammella dei Jonathan Fire Eater, nel giro di pochi anni esplodono gli Strokes e con loro nomi quali Yeah Yeah Yeahs, Interpol, Killers, Lcd Soundsystem e mille altri, fino all’alba dei Vampire Weekend, sulla cui venuta inizia la parte finale di quella violenta esplosione che più di una rivoluzione musicale racconta il cambiamento di una città stessa.

Raccontato come un complesso puzzle di interviste che si intrecciano l’un l’altra, scorrendo le pagine arriva lo stupore per questo microcosmo in cui tutta la scena era negli stessi locali, nelle stesse serate, nelle prime blogger, con celebrità del cinema che vi apparivano come fruitrici e fruitori tra i tanti: qualcosa di piccolo, esclusivo ma non in termini di ricchezza, bensì di nicchia culturale.

Davvero, ci si chiede?

Davvero in queste serate fuorilegge dove droghe e alcool sono la base, suonano i primi Strokes, mentre li ascolta un giovane James Murphy che darà poi il via alla Dfa Records e agli Lcd Soundsystem, davvero è normale che Moby sia spesso lì dentro e che gli Interpol osservino tutto da un lato più elegante, mentre gli Yeah Yeah Yeahs esplodono e poi rallentano e poi trovano la loro dimensione?

Quanto, in quella epoca pre esplosione di Pitchfork e coeva con la nascita dei blog e webzine (la cui crescita si intreccia e arriva verso metà libro e che probabilmente in Europa e in Italia è arrivata un anno o due dopo) siamo stati in grado di percepire, da questo lato dell’atlantico?

Quanto di quello che era solo “suonano bene, suonano male, disco incredibile, disco uguale a quello prima” era invece conseguenza di successi, eccessi, umori, esplosioni creative, contrasti, dissolutezza e perfezionismo, tutto frullato assieme in una città che diventava da criminale e feroce a astro nascente come polo attrattivo di tutto ciò che era cool, e che forse ancora oggi è come tale la vera metropoli globale?

Sullo sfondo di quell’undici settembre che coincide, anzi fa spostare di qualche settimana “Is This is” il debutto degli Strokes e hit istantanea come non capita più, la cosa che emerge forte da questo lungo racconto è quanto niente fosse così cool, realmente.

quando si chiede a quelle persone la cui arte è diventata importante per tantissima gente com’era essere li al principio di tutto, spesso vi diranno che non c’era assolutamente nulla di mitico o portentoso, era semplicemente così che si viveva”

eri quello strano, e così sei venuto a New York per incontrare persone che, come te, risultano indigeste alla cultura di massa. Impari dai drogati, dalle drag queen e da tutti gli altri, da persone che sono sè stesse”

Quanto ci fosse ferocia, quanto le droghe fossero la base di alcune vite, quanto tutto fosse artigianale, da serate senza permesso a vite vissute in luoghi poco raccomandabili, per potersi permettere l’affitto e di come certe ascese fossero difficili da governare, tanto da obbligare chi non voleva cavalcare l’onda dell’eccesso (come Karen 0) a rallentare.

Quanto James Murphy fosse geniale e diabolico.

Quanto ci fosse l’idea di stare assieme, come nel caso dei Moldy Peaches (di Adam Green e Kimya Dawson) letteralmente tirati dal traino degli Strokes per amicizia personale, fino ad entrare nella stessa casa editrice.

Quanto sia stato un istante velocissimo, un istante in cui tutte le band più grosse venivano da quelle strade, quei quartieri, quella città (oltre alle già citate, Rapture, Tv On The Radio, The National, The Walkmen, Liars e tante altre) e quanto alcuni dischi siano usciti uno dopo l’altro, unendo popoli che ascoltavano il rock e ballavano elettronica, per quei pochi anni in cui i due generi si sono intrecciati, si sono potuti spartire le folle durante un dj set nello stesso club e poi a poco a poco, quanto quella fiamma si sia spenta, con la perdita di tutti quei difetti, storture e umanità al limite che governavano Manhattan.

Nel 2007 uscirà Sound of silver, di Lcd Soundsystem, che si chiude con “New York i love you, but you’re bringing me down” e molto di quella scena sarà già in declino, perlomeno dal punto di vista dell’hype per quanto esista ancora oggi.

Ma quegli anni sono tutti chiusi dentro a questo libro, dentro a interviste confuse quanto vere, oneste come raramente capita, dove si racconta errori, insoddisfazioni, momenti al limite, incomprensioni, ascese e rotture, invidie e gelosie: è un documento prezioso per capire cosa succeda prima e dopo un disco, durante un tour, senza nessun velo di bellezza, ma come racconto trasparente di umanità.

Non perfetto, come libro, ma necessario e utilissimo: quando New York, per qualche anno è stata al centro delle energie musicali e per la pura forza delle canzoni e della voglia di stupire e rompere ogni vincolo con il passato.

Mica poco.

Collana: OMu – Odoya Musica

Pagine: 528

Data di pubblicazione: 05/05/2023

Autore: Lizzy Goodman

Traduzione: Irene Micheli Amodeo

https://www.odoya.it/musica/1206-meet-me-in-bathroom.html