[#tbt] SOPHIE, ma quanto ci siamo divertiti…

Un periodo un po’ particolare quello che si avvicina. Inizia l’estate, dopo questa primavera a tratti salvifica a tratti maligna; con lei anche la voglia di andare un po’ in giro, per paesi e festival, recuperando quei nomi persi negli ultimi anni o artisti appena scoperti che ci hanno fatto emozionare quest’anno.

Detto questo, ci avviciniamo anche a un anniversario tondo che paralizza il pensiero mio come di tante migliaia di appassionati di musica elettronica in giro per il mondo: il 15 Giugno saranno 5 anni dalla pubblicazione di “OIL OF EVERY PEARL’S UN-INSIDES”, unico LP pubblicato da SOPHIE XEON prima della sua prematura scomparsa il 30 Gennaio 2021.

L’album, che arrivava dopo la fortunata serie di singoli “PRODUCT” (interrottasi poco prima della morte della producer, con il doppio singolo comprendente “UNISIL” e il remix degli Autechre di “BIPP”) presentava al mondo non più solo il suono e la musica di SOPHIE, ma anche la sua persona in maniera sfaccettata e senza filtri. O, al contrario, presentandola attraverso innumerevoli filtri.

Ricordiamoci che SOPHIE era un nome tenuto ben in considerazione da addetti ai lavori e appassionati da già da anni: il 2013 vede la sua prima uscita discografica con l’EP “Nothing More To Say”, contenente “Bipp”, “Elle”, “Nothing More to Say” ed “Eeehhh”. Il 2015 la vede collaborare con Diplo alla produzione di “Bitch I’m Madonna”, singolo estratto dal tredicesimo album dell’icona pop statunitense.

In questi anni, anche grazie alla sua vicinanza con il collettivo PC Music, il nome di SOPHIE comincia a diventare di culto tra gli amanti dell’elettronica più innovativa. Proprio la producer scozzese ha infatti delineato il suono e le caratteristiche di quello che negli anni a seguire verrà rinominato ‘hyperpop’: suoni sintetici, altissimi BPM in cui voci up-pitchate cantano sopra melodie pop tirate all’estremo. Una sorta di fusione tra il bubblegum pop da sempre caro alle radio mainstream con la ricerca elettronica e il culto dell’internet, con quei riferimenti costanti ai remix ed edit nightcore che popolano ogni anfratto di YouTube.

SOPHIE, da sempre considerata una dei membri chiave del collettivo e del ‘movimento’ hyperpop, ha però forse solo costeggiato questa esperienza o, se volete, rappresentato nella sua forma più pura. La creazione del suo suono, con complesse texture di suono realizzate grazie alla sintesi FM, non solo ha una sua estetica iperrealistica (come quando dichiarò di cercare di creare suoni come “a piano that is mountain-size high, and imagine what the sound of the piano would be if the string were that large”) ma anche una forte funzione simbolica nel trascendere, attraverso il suono, il genere.

Collaborando con A.G. Cook, fondatore di PC Music, SOPHIE co-produce il singolo/spot “Hey QT”, divenuto poi un classico fondante dello stile in questione, ed entra in contatto con Charli XCX arrivando a produrre l’EP “Vroom Vroom” più vari pezzi dell’autrice britannica, oltre a un vero e proprio album mai pubblicato in seguito ad alcuni leak. Sono proprio questi i momenti in cui l’hyperpop prende forma e trova le sue coordinate estetiche che lo porteranno anche a una visibilità mainstream con un picco negli ultimissimi anni, grazie anche all’exploit di progetti come i 100 gecs.

Ma arrivata alle porte della pubblicazione del suo primo album, SOPHIE compie un gran passo in avanti. La pubblicazione del primo singolo estratto dal disco, “It’s Okay to Cry”, rivela al mondo la voce l’immagine dell’artista, che si rivela in quanto persona trans. Il coming out di SOPHIE non ci deve interessare, in questo caso, solo come informazione personale sull’artista, ma soprattutto come snodo centrale della sua musica. “Oil of Every Pearls” è infatti un percorso di digitalizzazione e restituzione della persona di SOPHIE filtrata attraverso processi sintetici, in una sorta di transumanesimo musicale attraverso liriche e suono.

Già la scaletta ci aiuta a capire di cosa stiamo parlando: dalla commovente e patetica ballad “It’s Okay to Cry” si passa direttamente alla violenza sonora e visiva di “Ponyboy”, passando per soundscape digitali e l’anthem di liberazione “Immaterial”. Per non parlare poi di come anche il sound design sia totalmente coerente con il progetto: attraverso la creazione di forme d’onda complesse date dalla modulazione di frequenze infatti SOPHIE arriva a trovare un suono totalmente mutante, unico e trans.

L’aspetto narrativo del disco è onnipresente, sia nella sua parte sonora che in quella visual, e spostando sempre più in là i limiti della tecnologia la musicista scozzese si racconta con potenza inaudita e senza alcuna retorica.

Arte come affermazione di sè, con un altissimo valore politico senza mai divenire didascalici. Solo come i grandi artisti sanno fare. SOPHIE, è stato un percorso breve, ma quanto ci siamo divertiti. Quando guardo la luna, spesso penso a te.