[#tbt] TU VUOI UN BEAT DI MESH MA NON LO SAI FARE!

Negli ultimi tempi mi è capitato più di una volta di ricordare il bellissimo DJ set pratese di M.E.S.H. dell’Aprile 2019 per i tipi di PHASE. Quel set, oltre al banale ricordo di una grande serata, fu anche un evento capace di aprirmi nuove concezioni sulla visione della musica e il modo di interpretarla dal vivo, trovandomi di fronte a uno degli artisti che più avevo ammirato negli ultimi anni. Ma andiamo con ordine.

Nel 2015, PAN Records (e chi sennò?) pubblicò “Piteous Gate”, un album tanto bello quando fondamentale. Il debutto del producer, che già era uno dei principali agitatori della scena berlinese con le serate “Janus”, si innesta in un panorama elettronico in incredibile fermento, rinnovamento, ibridazione.

Sono gli anni successivi al grande terremoto vaporwave e noise, dal quale svettavano le melodie post-umane di James Ferraro e le architetture astratte di Daniel Lopatin. Sono gli anni in cui SOPHIE pubblica la sua serie di singoli “PRODUCT”, avvicinando il pubblico ai suoni iperreali che la renderanno una delle musiciste più riconoscibili del decennio. Sono, infine, anche gli anni in cui si formava NON Worldwide, con la sue uscite tese alla sperimentazione del suono e al suo rapporto dell’individuo con il mondo.

In questo ambiente artistico M.E.S.H. lavora al suo primo LP, prendendo tanto dai contemporanei come dalla lezione degli Autechre, e restituendoci il migliore esempio di elettronica “HD” a nostra disposizione negli anni in cui questa concezione di musica elettronica veniva a crearsi.

“Piteous Gate” non è rappresentazione di ambienti, non si limita a delineare delle scene, ma è il racconto sonoro di un ecosistema ibridato, ferito, caotico e ostile. Un racconto di città, insomma, che prima ancora che la Berlino di metà anni ’10 ricorda la Los Angeles distopica di Blade Runner.

Citando Riccardo Papacci, dal suo “Elettronica Hi-Tech” (Arcana, 2019): “Il disco di M.E.S.H. potrebbe trovare una chiave di lettura in questa stessa dialettica finzione/verità metanarrativa: i suoni sempre più iperreali spingono a cercare di reperire l’oscura sorgente che li ha generati, a osservarli, attraverso attenti ascolti, fare ingresso nel mezzo della densa mescola sonora che li accoglie. Non c’è davvero spazio per la melodia: tutto scarrella, deraglia e si contorce fino a creare strati di ambientazione sulfurea, popolata da una fauna moribonda e infetta”. Papacci attribuisce quindi alla musica di M.E.S.H. un procedimento nell’ascolto simile a quello che si attiva nella musica acusmatica, con la quale condivide anche il setting per la fruizione dal vivo: “Piteous Gate” infatti può solo che essere riprodotto da un supporto e fruito tramite altoparlanti, creando mistero riguardo alle fonti sonore utilizzate. Se però Pierre Schaeffer utilizzava i suoni concreti per esplorare le possibilità sonore del mondo, qui siamo oltre: immaginare nuovi orizzonti, mondi paralleli o futuri che non sappiamo decifrare.

Dopo aver dunque plasmato un mondo musicale sul suo suono, M.E.S.H. tornerà anni dopo a regalare un altro LP destinato a essere ricordato come album fondamentale di questi anni: “Hesaitix”. Con questo secondo lavoro M.E.S.H. compone un vero e proprio trattato sonoro sulla sua pratica, superando la distopia di “Piteous Gate” e tornando a un sound più organico e più, a suo modo, umano.

A livello di suono vengono introdotti, al fianco delle svisate acusmatiche, anche suoni reali (come i field recording che aprono la prima traccia, “Nemorum Incola”) e un largo utilizzo di ritmi e suoni percussivi. Dalla città-mondo è come se fossimo passati al club-mondo, vero habitat del protagonista della nostra storia. Le possibilità di trattamento del suono come linguaggio, la musica club come grammatica. Il discorso è un efficacissimo rapporto sullo stato dell’arte, dove M.E.S.H. decostruisce strutture e aggiunge complessità ai suoni, ai pattern ritmici, al modo di intendere il club come esperienza individuale.

Un discorso molto complesso, sì, ma che diviene anche semplicemente godibile in episodi come “Search. Reveal.”, uno dei singoli meglio riusciti di tutto lo scorso decennio, quantomeno nella scena elettronica.

Si è discusso per anni di quali fossero i contorni temporali di questa elettronica in alta definizione, presi dalla voglia di storicizzare un periodo tanto entusiasmante e avendolo vissuto in prima persona. Solo che, come sappiamo, i confini sono sempre più labili e confusi di quello che pensiamo, lasciandoci intravedere più di un percorso possibile passato e futuro. Detto ciò, se io dovessi trovare dei forti confini a questa parte di discografia, direi proprio che nasce con “Piteous Gate” e muore con “Heasitix”.

Credo di essere preciso, o filologico? No, e non mi sono nemmeno preparato una lista di dischi e date d’uscita prima di scrivere questo articolo. La mia è solo una provocazione e un invito a riascoltare o scoprire due dischi fondamentali per la musica degli anni ’10 e oltre. Ma del resto, volendo parafrasare Bela Bartok, è proprio così importante, come sembra a noi che ce ne occupiamo con passione, questo ramo della musica elettronica rimasto fino a oggi sostanzialmente estraneo a ogni interesse?

(Matteo Mannocci)