BECK, “Golden Feelings” (Sonic Enemy, 1993)

“Golden Feelings” è un laboratorio a cielo aperto, un guazzabuglio di idee non completate o fin troppo concettuali, mutuate dalla logica del movimento anti-folk che si contrapponeva – deridendolo e stravolgendolo – al folk degli anni ’60. Beck accoglie volentieri questa prospettiva: prendere una chitarra acustica in cameretta, registrare senza troppe pretese, filtrare e modificare la voce creando il suono di un monstrum, distorcere, fare cut-up inserendo dialoghi, risate, fruscii, lamenti. Insomma, non una cosetta propriamente fruibile: resta un documento insostituibile per capire la successiva vita discografica di un genio – non si può non usare questo termine – che è partito da una decostruzione per ricostruire con pazienza e bellezza in varie direzioni.

Qui pertanto vanno in scena come degli sketches, come quelli che Jeff Buckley ha lasciato incompiuti (non per volontà sua) nel disco 2 di “My Sweetheart the Drunk”: se per Buckley erano solo il primario stadio di composizione nell’attesa di strutturare i brani, per Beck l’improvvisazione è importante in sé, quasi come atto artistico in divenire, una specie di action playing sulla sorta di quella tecnica pittorica denominata action painting in cui si dipinge un po’ a caso e sul momento.

Ci sono canzoni (leggermente) più definite che lasciano intravedere quello che sarà, ma non è tanta roba. Si possono prendere ad esempio tre brani: “Gettin’ Home” fa godere di un bell’arpeggio e di una voce finalmente un po’ più chiara, “No Money No Honey” è una filastrocca sghemba e in distorsione che però ha in sé i semi del futuro Beck, così come “Heartland Feeling” ha una struttura (quasi) standard e una voce ondivaga e strascicata. Il resto è di un espressionismo tra il (volutamente) fastidioso e l’innegabilmente divertente (per Beck che lo ha fatto, meno per chi ascolta). Ma la concettualità che sta dietro alla filosofia dell’antifolk e del lo-fi a tutti i costi giustifica questa prospettiva anche se non riesce a superare le difficoltà di ascolto.

“Golden Feelings” è quindi un divertissement di un ventenne (all’epoca Beck aveva 23 anni) cazzone che si spatacca a prendere in giro i cantautori classici, a dissacrarli: la necessaria distruzione per fare tabula rasa e potere poi – lui stesso – prendersi la responsabilità di ricostruire la scena.

62/100

(Paolo Bardelli)