BELLE AND SEBASTIAN, “Late Developers” (Matador, 2022)

A chi non è capitato di amare una band grandemente e poi rimanerne delusi? A tutti. Al sottoscritto è capitato coi Belle And Sebastian e il loro album disastro  “Girls in Peacetime Want to Dance” del 2015, la cui recensione fa ancora bella mostra di sé qui su Kalporz con il suo 29/100 a ricordarci che sì, fu proprio una svolta elettronica di cui non se ne sentiva l’esigenza. Quando succedono questi incidenti di percorso è molto facile iniziare a disinteressarsi della band in questione: nel 2017 avevo comunque attestato che il singolo “We Were Beautiful” era un piccolo miglioramento, ma poi il loro silenzio discografico me li aveva fatti tornare “sotto lo zerbino”. Da allora i B&S hanno fatto uscire una colonna sonora (“Days of the Bagnold Summer”, 2019) e poi l’anno scorso un album che è passato un po’ sottotraccia non solo a me (“A Bit of Previous”, snobbato in tutte le classifiche di fine anno che ho letto). Cosicché è stato l’algoritmo (sì quello!) a farmi prendere coraggio e ascoltare “When We Were Very Young”, personalmente non avevo la volontà per farlo e invece me lo sono trovato nella “Discover Weekly”: l’algoritmo ha pensato che potesse piacermi (non aveva attestato mai un ascolto dei B&S da quando uso quel servizio di streaming, cioè erano anni che non ascoltavo i B&S), e me li voleva far scoprire. Racconto questo aneddoto personale perché non bisogna mai demonizzare le novità, in questo caso l’algoritmo, meritevole di non avere pregiudizi sui B&S (al contrario di me).

Ebbene, fin da subito ho trovato “When We Were Very Young” una bella canzone intrisa di quella dolce malinconia che è sempre stato il marchio di fabbrica della band di Glasgow, ma c’era di più: i B&S sono più che adulti. Direi quasi nonni. Mi sono subito chiesto che fine ha fatto, negli anni Venti del terzo millennio, il loro mondo twee: esiste ancora? Se dovessimo basarci solo sul quella canzone bisognerebbe dire di no: “La scorsa notte ho avuto paura / La mia testa era bloccata dal dolore / Penso che una persona possa impazzire / Nessuno può aiutarti quando le cose si mettono così male” è un passaggio tremendo, rinforzato dalla monotonia delle occupazioni quotidiane che non bastano nonostante si fosse pensato di accontentarci (“I wish I could be content with my daily chores”) e dal rimpianto di quando “eravamo veramente giovani” (“When we were very young / We loved our selfish fun”). Ma, ascoltando tutto il disco, la prospettiva cambia: certo, lì c’è l’insoddisfazione e la voglia di evasione (“I wish I could walk away”), ma non c’è solo lo sguardo rivolto a un passato migliore dell’oggi: in “Give A Little Time” Sarah Martin canta della bellezza del presente (“These are the best of days / You hold the world in the palm of your hand”) ma soprattutto di distruggere le vecchie lettere e silenziare il passato:

Destroy your correspondence
You read it back, it’s nonsense
Old letters, feed them to the shredder
You can let the past be silent

Insomma se si guarda all’album nel complesso, tra tematiche delle liriche e sentore delle musiche, i B&S sembrano pacificati rispetto a quello che ha loro riservato la vita. “Sono diventata più felice di vivere una vita piccola” ha detto la Martin a Kiyi Music. È un bel sentimento, dall’album traspare questa filosofia e finisce per questa via che, in definitiva, “Late Developers” sia un disco onesto e dunque piacevolmente ascoltabile. I brani sono stati registrati in varie sessioni, la maggior parte nelle stesse di A Bit of Previous” ma alcuni sono persino precedenti, come ad esempio “Juliet Naked”, registrata nel 2018 per una colonna sonora e poi scartata dal regista. La prima metà dell’album è migliore, più a fuoco e coesa, alla ricerca di quel sentimento twee-pop perduto ma senza affanni e recriminazioni di quello che è ora, mentre nella seconda – diciamo da “When You’Re Not With Me” – riemergono tentazioni latamente funky (“Do You Follow”) o smaccatamente pop ’80 (la tremenda “I Don’t What You See In Me” sembra la sorella minore, e brutta, di “Learning To Fly” di Tom Petty), finanche kitsch (la titletrack “Late Developers”).

Insomma, luci e ombre, ma nel complesso è un ritorno più che discreto: prometto, non snobberò più i prossimi album dei Belle & Sebastian.

71/100

(Paolo Bardelli)