[Richiami] THE BEATLES, “Revolver” (Super Deluxe Edition) (Apple/Capitol, 1966/2022)

Non è facile spiegare a parole cosa significhi riascoltare Revolver 56 anni dopo la sua uscita come fosse la prima volta ed entrare – talvolta diventando, come spesso capita in queste ristampe ampliate dei Beatles, una vera e propria fly on the wall mentre la band sta lavorando – nel processo creativo che ha dato vita a uno dei più grandi capolavori della storia della musica. Dopo le super deluxe edition di Sgt. Pepper, White Album, Abbey Road e Let It Be, si ritorna indietro a Revolver: è qui, e anzi era già stato in Rubber Soul un anno prima, che da band capace di scrivere pop songs sopraffine e celestiali i Fab Four diventano i più grandi sperimentatori sonori di quegli anni. Questa monumentale uscita ci ricorda ancora una volta quanto sia stato rivoluzionario quel momento magico in cui l’esplosione creativa dei quattro pareva inarrestabile.

Basta l’attacco di “Taxman” nel suo nuovo mix stereo inedito a farci capire quanto questa nuova edizione di Revolver sia fondamentale. Dei Beatles pensavamo di conoscere ormai tutto, ma con le recenti ristampe dei loro album più importanti e il mastodontico lavoro che è Get Back di Peter Jackson – un documentario che è già passato alla storia – ecco che siamo qui a ripeterci che i Beatles sono uno scrigno senza fondo. Rischiavamo di dar tutto per scontato un’altra volta, se non fosse che sono troppi i momenti straordinari in questa confezione di 4 CD e 1 EP perché si faccia finta di niente. Dalle novità riguardanti il nuovo mix all’ormai classico dietro le quinte delle sessions, con due dischi a esse dedicati che aprono ancora una volta scenari inediti sul processo di composizione e di incisione del quartetto, questa ristampa di Revolver centra in pieno i suoi obiettivi.

Dicevamo del suono. Ritorniamo ancora a “Taxman”, il pezzo che apre l’album, e partendo da qui riflettiamo sulle peculiarità del nuovo mix stereo incluso nel primo disco del box set. Più prominenti sono alcuni suoni che nel mix originale rimanevano inevitabilmente compressi sotto e intorno agli altri. La lucidità con la quale emergono alcuni particolari – dalle chitarre alla voce fino agli effetti sonori – è straordinaria. Revolver fu originariamente registrato in un four-track tape. In quegli anni la versione che veniva poi messa in commercio era la mono, ed è grazie a essa che tutti hanno conosciuto i Beatles, in quell’amalgama sonoro al medesimo tempo lucido e nebbioso. I puristi troveranno in ogni caso l’album mono, rimasterizzato dai tape originali, nel terzo disco del box set: esso permette di rivivere il mistero di Revolver nel modo più fedele possibile.

È proprio nel nuovo mix, però, che emergono alcuni elementi mozzafiato, che danno nuove sfumature a canzoni già magnifiche e immortali: ancora in “Taxman” il basso di Paul McCartney che come un segugio segue i “passi” di George Harrison; la voce di Lennon decisamente più chiara e alienante nella glaciale “I’m Only Sleeping”; la maggior limpidezza delle armonie vocali in “Here, There and Everywhere”, in “Yellow Submarine” e in “Dr. Robert”, che tendono a sottolineare ancor di più la dolcezza e l’originalità delle rispettive melodie; un bilanciamento nuovo, che in parte ne allarga la portata, degli archi in “Eleanor Rigby”. Non è tutto, chiaramente, ma ciò basti a titolo esemplificativo. Come per le altre ristampe dei Fab Four è stato Giles Martin, figlio di George, a remixare l’album. Ad aiutarlo a “demixare” i tape originali è stato il team di Peter Jackson, coinvolto nel medesimo processo che ha reso possibile Get Back.

Per quanto riguarda i due dischi di sessions, le sorprese e le rivelazioni sono ovunque. Registrato tra l’aprile e il luglio del ’66, Revolver attraversa generi, stili e umori estremamente differenti tra loro, e ripercorrerne le origini lo dimostra una volta di più. Oltre ad alcuni fondamentali ripescaggi dalla Anthology 2, come il Take 1 di “Tomorrow Never Knows”, che lascia a bocca aperta tutte le volte che si decide di riascoltarlo, o come il Take 5 di “Got to Get You into My Life” senza tagli, di una immediatezza e di una grinta estasianti, che ci ricordano come i Fab Four siano prima di ogni altra cosa geniali tessitori di elaborati ritmi e melodie, è impossibile non menzionare quali scoperte riservi l’attenta disamina del percorso di creazione di “Yellow Submarine”. Tutto inizia con un bozzetto di John Lennon melanconico e spettrale a metà via tra “Strawberry Fields Forever” e “Because”: il “no one cared” più volte ripetuto, a volte quasi sussurrato, sembra arrivare da un’altra dimensione, l’andamento sghembo delle pennate di chitarra creano tante pietre d’inciampo, i pochi momenti strumentali fanno emergere con ancora più chiarezza la successione di accordi che avrebbe reso immortale il pezzo. Nella sua forma finale un brano allegro e psichedelico, “Yellow Submarine” ha insomma la sua origine in un folk cupo e tenebroso, quasi un lamento trenico, nato dalla ansiosa penna di Lennon.

La storia non finisce qui, però. Nel secondo bozzetto di lavoro ecco che arriva Paul McCartney, che lavora al brano insieme a Lennon e ora canta. Ci sono ancora dubbi sugli attacchi e sul tempo ma adesso il pezzo ha un’altra forma. È arrivato il ritornello, ideato da McCartney, a connettere i vari frammenti già presenti, e nel ritornello ci sono dei coretti che rispondono alla voce principale. Altrettanto interessante è ascoltare poi il Take 4, quello scelto per il disco, privato degli effetti sonori che ne caratterizzano, invece, la versione definitiva. Ma oltre all’epifania di “Yellow Submarine” ci sono altri momenti eccezionali nei due dischi di sessioni: dalla versione originale di “Rain”, la cui velocità sarebbe stata poi rallentata con una tecnica che i Beatles avrebbero utilizzato ampiamente da quel momento in avanti, a un unnumbered mix da brivido di “Got to Get You into My Life”, di una ruvidità e di una freschezza straordinarie, da alcuni intriganti take di “And Your Bird Can Sing”, tutti molto interessanti per chi voglia seguire da vicino le evoluzioni del brano, fino a take preparatori estremamente brillanti di “Here, There and Everywhere”, di “She Said She Said” e di “I’m Only Sleeping”. Revolver è il disco dei Beatles che più di tutti ha forgiato il suono e lo stile di composizione dei Fab Four in vista dei capolavori successivi: adesso possiamo finalmente esplorarne i retroscena e tentare di capire come i Beatles siano arrivati anche solo a pensare tutto questo.