SUEDE, “Autofiction” (BMG, 2022)

Premessa: non siamo di fronte a un Best Of. Ma ci andiamo molto, molto vicini.

Una band londinese nata a fine anni ottanta, con così tanto da dire e da dare al nono album: sembra un miracolo ma i Suede non hanno (quasi) mai deluso le aspettative riposte in loro, vincendo gli ostacoli nel cammino – l’uscita di Bernard Butler durante le session di “Dog Man Star”, le dipendenze dalle droghe pesanti di Brett Anderson – per arrivare a una “nuova vita” inaugurata da “Bloodsports” del 2013 e giunta a “Autofiction”, disco (prodotto da Ed Buller) che unisce magnificamente profondità e visceralità.

Il primo lato dell’album racchiude le tracce più catchy, con l’apertura sublime di “She Still Leads Me On” dedicata da Anderson alla madre e che nelle sonorità tira in ballo i New Order più chitarristici e i Cure, mentre “Personality Disorder” ha un tiro più marcato nella batteria punk di Simon Gilbert – con il bassista Mat Osman unico Suede presente in ogni album, escludendo ovviamente Anderson. É dunque questo l’approccio che viene scelto dal gruppo con Buller: “When we were rehearsing and writing this record it was this sheer, physical rush. That thing where you’re hanging on for dear life”, rivela Osman presentando il singolo “15 Again”. Viene poi il momento di “The Only Way I Can Love You”, la cui forza dirompente – lirismo, tastiere esistenzialiste, voce mai così bella di Brett – ci porta all’omonimo del ’93:  “I pretend I don’t adore you/But I’d take a bullet for you/Yes, it’s a sweet and bitter love […] All day long I’ll hesitate/I’ll turn off the light and stay awake/And I’ll love you/The only way I can love you“. Una canzone incredibile quanto “Life Is Golden” dal disco precedente.

“That Boy On The Stage” sembra invece uscire da “The Queen Is Dead”, laddove “Shadow Self” risulterà familiare a chi ha amato “War” degli U2. Forse i soli momenti derivativi perchè il clima generale è più malinconico come rivelato dall’orchestrale “Drive Myself Home”, la “Saturday Night” della raccolta. “Black Ice” ne fa da contraltare, con un Richard Oakes vigoroso e assolutamente personale come suona pure ispiratissimo in “It’s Always The Quiet Ones” (bowiana fino al midollo), limitando l’epicismo impresso dal tastierista Neil Codling, principale autore della song. “Sometimes song-writing is hard work. Of course there are magical moments when things just ‘happen’ but often it’s plain hard slog. All worth it in the end of course; nothing in life that’s worth having is easy.” A testimoniare il grande lavoro di squadra dietro a una delle formazioni migliori degli ultimi trent’anni.

Chiudono una ballad riflessiva come “What Am I Without You”, nella tematica del performer senza audience vissuto e inoltrato dall’era del distanziamento sociale, prima dello scossone di “Turn Off Your Brain And Yell” e il suo invito a lottare davanti agli ostacoli e non rassegnarsi mai: “Come on feel the sunshine/When you turn off your brain and yell“. Belle atmosfere alla Interpol, come segnalato dal Bardelli, del resto una delle band preferite di Anderson nel nuovo millennio. 

Dopo due serate all’Electric Ballroom, che sono subito andate esaurite all’annuncio del disco, i Suede stanno portando “Autofiction” dal vivo in luoghi selezionati in Europa, inclusi live in-store ed esclusa purtroppo l’Italia. L’augurio è che i Nostri ci (ri)pensino e tornino a sprigionare l’energia di questi pezzi in venues adeguate al calore umano trasmesso da Brett Anderson con il suo pubblico.

81/100

Foto in Home di Dean Chalkley