Appassionante nella sua ricerca storica indissolubilmente unita alla narrazione; affascinante nei ritratti delle giovanissime protagoniste, Le donne dell’Acquasanta di Francesca Maccani (Rizzoli) è un romanzo siciliano scritto da un’autrice trentina che a Palermo ha scelto di vivere, insegnare e scrivere.
Siamo nel 1897: Rosa e Franca sono due giovanissime amiche diverse nella bellezza e nel carattere. Franca, in particolare, è indipendente e intraprendente, entrambe vengono dall’Arenella, quartiere di povertà, di lavoro duro e di mare.
La Manifattura è contemporaneamente pane e salute persa, fatica e modernità; è uno dei pochi lavori considerati accettabili per le donne: un luogo di contraddizioni dove le madri possono portare con loro i figli neonati, figli che, però, dovranno lasciare quando saranno troppo grandi per rimanere legati al seno.
Sono gli anni in cui il sindacato muove i primi passi, fra ricatti, dileggi e repressione. Gli anni delle prime conquiste salariali e dei tentativi di portare un minimo di benessere nei luoghi di lavoro.
Franca ha una visione: creare un asilo nido all’interno della fabbrica. Un luogo in cui i bambini potranno essere accuditi, sorvegliati, potranno giocare e, magari imparare a leggere e scrivere. Una visione talmente forte che le dà il coraggio, di andare a parlare con Salvo, il sindacalista di Ballarò, che prenderà a cuore i diritti delle sigaraie.
Scritto con un linguaggio che mescola il cuore del dialetto con la lingua contemporanea, il racconto di Francesca Maccani consente al lettore di diventare protagonista degli eventi i cui personaggi, come lampi, sono gli stessi della Storia a qualche decennio dall’Unità d’Italia.
Franca, Rosa, Salvo, le altre operaie, così come i padroni clementi o quelli cattivi, hanno storie diverse. Alcune, solo accennate, potrebbero dar vita ognuna a un altro libro, a un altra indagine sulle condizioni sociali del tempo.
(articolo di Isabella Moroni)
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