[#tbt] “This is the time. And this is the record of the time”: 40 anni di “Big Science”

This is the time. And this is the record of the time.

Mi sono imbattuta in questo remix di Arca qualche mese fa in prossimità della sua pubblicazione. L’interpretazione sembra prendersi più di qualche licenza poetica risultando molto più “archiana” (un neologismo ingannevolmente vicino ad “arcana”) che una rielaborazione del lavoro di Laurie Anderson. Non conserva nulla del minimalismo dell’originale, eppure fra la lettura di Arca e “Big Science”, l’esordio avanguardista di Anderson, si può tracciare una linea di congiunzione piuttosto rilevante: l’utilizzo melodico e graduale della macchina. Solo se le macchine di Arca sono quanto più astratte e virtuali possibili, i dispositivi elettronici di Anderson sono fisici e concreti, tanto temporali da risultare spediti nel futuro e spenti diversi decenni dopo.

Va detto che è un disco che intrattiene un rapporto complesso con la tecnologia. In piena vena new wave, “Big Science” è un album dalla vocazione politica, è un ritratto dei repentini cambiamenti della società americana di fine anni Settanta. Non a caso, il progetto embrionale di Anderson era quello di comporre un’opera satirica intitolata concettualmente “United States”. Ma nonostante le canzoni siano popolate da personaggi insoliti che tentano di convivere con processi di digitalizzazione frenetica, il risultato finale è di natura tragi-comica e mai moralista. Ne è un esempio “From The Air”, il brano iniziale che vede come protagonista un pilota di aereo che annuncia ai passeggeri lo schianto imminente. La sua voce è la voce dell’autorità, ma l’espressione è falsamente ottimista e ironica. O ancora la celebre “O Superman”: la canzone è la reazione di Anderson al fallito tentativo di salvataggio degli Stati Uniti di alcuni ostaggi americani in Iran verso la fine degli anni Settanta. Il primo verso della canzone (“O Superman, O Judge, O Mom and Dad”) è una corruzione del primo verso del terzo atto di “Le Cid”, un’opera del compositore francese Jules Massenet tratta dall’omonima tragi-commedia di Corneille: “Oh souverain, oh juge, oh père” (Oh sovrano, oh giudice, oh padre). È la marcia trionfante del vocoder e riflette forti influenze dei compositori minimalisti dell’epoca e dei loro schemi ripetitivi, in gran parte un prodotto della stessa comunità di Manhattan che ha generato Philip Glass, una miriade di band punk-rock e new wave e la Love of Life Orchestra i cui membri appariranno nei suoi dischi successivi. Nel 1981, il brano schizzò secondo in classifica in UK.

Il mese scorso “Big Science” ha compiuto 40 anni. Per l’occasione il disco è stato ristampato in vinile per la prima volta dopo oltre trent’anni dalla Nonesuch Records. Ha continuato ad esistere per molto tempo come tetra sfera di vetro per quello che sarebbe successo dalla presidenza Reagan in poi, in Occidente e non solo (l’incidente aereo riportato prima di “O Superman” offre una perfetta narrazione della tragedia dell’11 settembre). Una rappresentazione atemporale di un generalizzato sentimento di smarrimento e fiducia. Forse oggi il mondo è decisamente meno americanocentrico di come Anderson se l’era prefigurato, ma “Big Science” resta il disco dell’epoca.

(Viviana D’Alessandro)