Prosegue il viaggio alla scoperta delle architetture italiane e di ciò che esse contengono, realizzate dai più importanti artisti al mondo, che ancora oggi ci raccontano il loro vissuto, le famiglie nobiliari ad esse legate, le loro trasformazioni, la storia delle loro collezioni d’arte.
Alla scoperta dei palazzi più belli d’Italia, ci rechiamo a Milano, fra le sale del meraviglioso Palazzo Reale, oggi vero e proprio cuore espositivo della città grazie all’eccellenza, sia qualitativa che di varietà, delle interessanti mostre che il Comune vi organizza.
Alla signoria dei Visconti (1395-1447) succedette quella degli Sforza (1450-1535, in alternanza con la dominazione francese), che considerò il Palazzo come suo luogo di rappresentanza ufficiale in città, nonostante avesse come residenza il Castello Sforzesco, che era però troppo simile a una fortezza.
È solo con i francesi, però, che nel primo Cinquecento vi spostarono definitivamente la Corte, che il palazzo divenne Ducale. Nei difficili anni di dominio spagnolo (1535-1714), in cui la città si trovò ad affrontare due terribili epidemie, il Palazzo venne ristrutturato e ampliato, diventando sede anche del primo teatro di Milano, poi demolito definitivamente nel 1776, quando fu costruito il meraviglioso Teatro alla Scala.
Seguì il governo spagnolo quello austriaco. Con loro il palazzo divenne il centro della vita di corte, e furono avviati una serie di lavori di rinnovamento che coinvolsero in particolare la facciata esterna, dandole la veste con cui possiamo osservarla ancora oggi. Il Piermarini, a cui era stato affidato il progetto, diede all’edificio la forma di una reggia neoclassica, spazzando via qualunque traccia architettonica dell’arte lombarda.
Con l’unità d’Italia, Milano perse la sua nomina a capitale e il palazzo iniziò ad essere usato sempre meno e solo per eventi ufficiali, fino ad essere donato dai Savoia al Comune di Milano nel 1919. Durante i bombardamenti del 1943 fu gravemente danneggiato: molti ambienti del piano nobile furono distrutti, insieme ai loro arredi e alle loro decorazioni, mentre il bellissimo Salone delle Cariatidi fu completamente scoperchiato.
Passata la guerra, quindi, negli anni Cinquanta si decise di utilizzare il salone per ospitare grandi mostre, così da lanciare un messaggio di rinascita, sia sociale che culturale.
Utilizzata dai Savoia come sala del trono, fu quasi completamente distrutta dai bombardamenti del ’43 e oggi ne possiamo osservare l’ottimo risultato del restauro condotto dalla Soprintendenza e dal Comune di Milano fra il 2004 e il 2006, che ha restituito una fedele riproduzione dell’aspetto della sala nel periodo napoleonico, nonostante non sia stato possibile recuperare tutto quanto il perduto. (foto 2)
Un’altra importante sala del trono è quella che Napoleone fece costruire per la sua incoronazione a Re d’Italia nel 1805.
In realtà, però, quello che osserviamo è soltanto lo strato di pittura sottostante all’affresco originale, che venne staccato e riprodotto su tela per essere meglio conservato nel dopoguerra. Al centro della sala si trovava il trono dorato di Napoleone, disegnato da Luigi Canonica, architetto imperiale, e di cui ci resta solo un disegno; il resto degli arredi è conservato invece al Museo della Reggia di Villa Reale a Monza. In seguito alla Restaurazione e all’Unità d’Italia, la sala divenne di rappresentanza e prese il nome di Sala del Consiglio. (foto 3)
Oggi nella sala, destinata ad ospitare conferenze ed eventi, possiamo osservare una parziale ricostruzione delle colonne e del soffitto cassettonato – con stucchi della scuola di Giacomo Albertolli – di tipo scenografico-teatrale, realizzato negli anni Novanta. (foto 4)
Sempre da quattro sostegni con capitelli in stile ionico prende il nome la Sala delle Quattro Colonne, con un’alta e meravigliosa volta a botte, decorata con lunari e rosoni, realizzata da Giacomo Tazzini nel 1822.
La sala sarebbe una galleria di disimpegno che collega l’Appartamento di Parata con l’Appartamento di Riserva dei Principi, ossia le camere destinate agli ospiti, ed è proprio in questo che si vede la maestria di Tassini, che trasformò un corridoio in uno spazio ampio e monumentale, illuminato da un lampadario ottagonale e con alle pareti affreschi che rappresentano trofei e medaglioni. (foto 5)
Si tratta del Ritratto di lady Venetia Digby come allegoria della prudenza (1633-1634 circa), del fiammingo Antoon Van Dyck, sulla parete est, e del Ritratto dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria, di autore anonimo, sulla parete nord. Del primo vennero commissionate due copie – l’altra si trova oggi alla National Portrait Gallery di Londra –, mentre probabilmente il secondo è una copia da un dipinto del ritrattista ufficiale della corte viennese, Martin van Meytens, per la Milano del Regno Lombardo Veneto. (foto 6)
Si hanno poi le Sale degli Arazzi, che già alla fine del Settecento ospitavano una serie di arazzi, realizzati dalla manifattura francese dei Gebelins, raffiguranti il mito di Medea e Giasone, come lo racconta Ovidio nelle Metamorfosi, e donati nel 1771 da Luigi XV agli arciduchi, in occasione delle loro nozze.
Nella Prima Sala degli Arazzi, decorata con chiaroscuri ornamentali sul modello di quelli dell’Albertolli e con pannelli attribuiti ad Andrea Appiani, sono rappresentati gli episodi “La fuga di Medea” (1769), “Giasone doma i tori” (1770) e “Creusa è consumata dal fuoco del fatale abito che Medea le ha donato” (1770). La seconda Sala, invece, realizzata insieme alla Terza alla seconda metà del Settecento, mostra l’episodio “Giasone giura fedeltà a Medea che gli promette aiuto con a sua arte” (1766) e “Le nozze di Giasone e Creusa” (1773). Alle pareti, inoltre, sono presenti una serie di pitture a tempera di Giuseppe Levati.
Infine, la Terza Sala degli Arazzi si contraddistingue per essere ricchissima di decorazioni. Qui si conclude il ciclo del racconto del mito, con la rappresentazione degli episodi Giasone conquista il vello d’oro (1767) e I Guerrieri nati dal dente del serpente volgono le armi contro se stessi (1764).
Il tema, in ogni caso, non è trattato soltanto negli arazzi, ma anche nei sovrapporta monocromo, attribuiti al fiorentino Giuliano Traballesi.
Questi raccontano: “Il Re Fineo istruisce Giasone intono alla navigazione a Colco; Giasone domanda al Re Eeta il Vello d’oro; Giasone ritorna in Tessaglia col Vello d’oro; Medea fa ringiovanire Esone; Medea fa uccidere Pelia dalle proprie figlie; e Medea sta per avvelenare Teseo. Anche in questa sala troviamo poi una grande specchiera con un camino in marmo, decorato sui lati, e accanto a quello, due tavoli da parete in legno di manifattura lombarda del XIX secolo. (foto 7, foto 8, foto 9)
Il Palazzo aveva già ospitato, nel 1929, una mostra nel cinquantesimo anniversario della morte di Tranquillo Cremona, ma fu quella curata da Roberto Longhi su Caravaggio e i caravaggeschi, nel 1951, a consacrare il palazzo come luogo espositivo. Seguirono anni ricchissimi e pieni di stimoli, in cui il Palazzo ospitò le opere di Van Gogh (1952) e Picasso (1953), Modigliani e i reperti degli Etruschi; e molto altro. Inoltre, ià avevamo parlato, ormai tempo fa, di una bellissima esposizione, Le Signore dell’arte, dedicata alle più grandi artiste italiane.
In questo momento, il Palazzo sta ospitando la mostra Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento Veneziano e sempre nel 2022 sono in programma Joaquin Sorolla. Pittore della luce; e Grazia Varisco. Il Caso; Tra le pieghe della mente, Max Ernts; Appiani; Canova; Raffaello; Palazzo Reale nella Milano napoleonica; Hieronymus Bosch e l’Europa Meridionale.
Un bel programma, tutto da segnare in agenda.
È recente la notizia che il Ministero russo della Cultura rivoglia indietro tutti i prestiti in essere, che dovranno essere restituiti dall’estero alla Russia entro fine mese 8a meno di proroghe o nuove decisioni); ebbene: questa richiesta comprende i due dipinti Giovane donna con cappello piumato di Tiziano (foto 10) e Giovane donna con vecchio di profilo di Giovanni Cariani, di proprietà dell’Ermitage di San Pietroburgo, presenti alla citata mostra su Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano e nonostante il Direttore del Museo Russo – Mikhail Piotrovsky – nella lettera di richiesta non faccia riferimento diretto al fatto che il Presidente Russo Putin abbia inserito il nostro Bel Paese nella (lunga) lista dei Paesi Ostili, immaginiamo chiaramente che questo sia il motivo della richiesta.
Di fronte a ciò, il nostro Ministro della Cultura, Dario Franceschini, ci ricorda che il ministero ha le mani legate, non avendo competenza in materia, e che le opere andranno quindi restituite ai legittimi proprietari in anticipo rispetto agli accordi precedentemente presi.
Bisognerebbe riflettere molto su questo. Per quanto mi dispiaccia, ritengo che noi europei possiamo visitare la splendida mostra godendone, anche senza le due opere in questione. Noi Europei, di Musei ne abbiamo una sconfinata vastità e questi conservano un’importante memoria, fino ai giorni nostri, e aprendo al domani, raccontandoci la storia del mondo e la sconfinata bellezza reale e cruda dell’Arte.
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