Tra rivelazioni australiane e vecchie glorie in formissima, scopriamo quattro tra le migliori uscite in ambito garage/rock’n’roll di questo spicchio di primavera.
Melbourne è la principale fucina di talenti rock da qualche anno a questa parte: Amyl And the Sniffers e Stiff Richards stanno lì a dimostrarlo. Ma immaginate se i riferimenti questa volta si spostano verso le trame melodiche dei Pretenders o (per i nostalgici del brit-pop) di Sleeper e Echobelly, ne uscirà il disco di debutto dei Romero, “Turn It On!”, pubblicato lo scorso 8 Aprile dalla Feel It Records di Chicago. Guidati dalla biondissima vocalist Alanna Oliver, fan accanita di Etta James e Carole King, i Romero ci offrono una scarica di power-pop e riff killer alla Thin Lizzy in undici brani anticipati dal singolo del 2020 “Honey”/”Neapolitan”, per un viaggio al tempo dei concerti punk al CBGB’s, Whiskey A Go Go, ma anche Camden Town.
Graham Day è una leggenda per gli amanti della Mod Culture e del Rock’n’Roll britannico nato negli anni Ottanta intorno a The Jam, The Milkshakes di Billy Childish e appunto i suoi Prisoners. Dopo aver infilato quattro dischi fondamentali per il genere l’artista di Rochester ha dato vita a progetti di indubbia qualità come Prime Movers e The Solarflares, illuminati da soul e psichedelia, per poi condurre i Gaolers e i Forefathers su label come Damaged Goods e Big Beat. L’esordio da solista “The Master Of None” per Acid Jazz Records nasce dalle circostanze della pandemia in cui si è trovato senza backing band (visto che il batterista risiede negli States) e dai demo su Logic Pro X trasformati con aggiunta di basso, organo Hammond e percussioni in una raccolta dal tiro live dove le imperfezioni diventano elemento di forza. Dal garage-fuzz di “A Rose Thorn Sticking in Your Mind’s Eye” alla catchy “Time Is Running Out” siamo di fronte a un songwriter unico che riempie di aria fresca la lezione di Kinks, primi Floyd, Who.
L’avventura dei Blues Explosion è ufficialmente terminata ma Jon Spencer non è certo vicino al pensionamento, tutt’altro. La nuova formazione a quattro impreziosita dal tastierista Sam Coomes dei Quasi è una vera macchina da guerra – concedetemelo – e non lo vedeva così in forma dalla fine degli anni novanta: l’opener “Junk Man” si infila tra “Calvin” e “Wail” tra i pezzi classici del chitarrista di Hanover, mentre in “Death Ray” gli Hitmakers flirtano tanto con i Cramps che con i Suicide. Jon Spencer decostruisce il blues nel 2022 citando Sonics, Funkadelic e il Beck di “Odelay”: ne viene fuori l’album che nelle intenzioni voleva rilasciare Mark Oliver Everett con gli Eels quest’anno (“Extreme Witchcraft”) senza esserci riuscito appieno. Produce Bill Skibbe, già con Jack White e The Kills, per un album decisamente imperdibile.
Finiamo da dove siamo partiti, Melbourne.
Anzi Rye, minuscolo borgo a sud di un centinaio di kilometri zeppo di surfisti e skaters dalla natura mozzafiato: qui si incontrano nel 2021 Tom Duell, chitarra e voce nei Bleach, la chitarrista e armonicista (provare la frizzante “Pandanus”) Sharni Paris, il bassista degli Stiff Richards Mawson e Kalani Vozzo alla batteria per formare i Doe St. Io li ho scoperti grazie alle orecchie attentissime di Enzo Baruffaldi di Polaroid-Un Blog Alla Radio che li definisce “una band proveniente da un altro tempo, da una dimensione parallela in cui non abbiamo bisogno di altro che gli Swell Maps e il catalogo della Flying Nun“. Credenziali ottime, alle quali aggiungiamo un pizzico di slacker rock (“Ringing”) e impegno sociale (“What It Isn’t”) per un disco omonimo che alimenta una scena floridissima.
Foto di Jon Spencer di Ariel Martini
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