Anelito d’amore
Nella San Fernando Valley del 1973, Gary Valentine, giovane attore quindicenne e Alana Kane, assistente di un fotografo, si incontrano durante la giornata in cui vengono scattate le foto per l’annuario scolastico. Nonostante i dieci anni di età che li separano, fra i due nasce un’amicizia che, tra litigi, incomprensioni e riavvicinamenti, prosegue sulla strada dell’amore.
“L’amore è un gesto pazzo”, cantava Lucio Battisti. Ed è sull’amore che converge il cinema di Paul Thomas Anderson, dando luce alle sue follie, ai suoi misteri e ai suoi percorsi inesplicabili. Dall’ossessività de Il filo nascosto si passa così alla leggiadria dell’amore in Licorice Pizza. I fantasmi del primo film divengono corpi pieni di vita, la stasi aggraziata si trasforma in movimento frenetico. Due film che formano quasi un dittico, due lati della stessa medaglia, o più propriamente due anime alterne che si guardano attraverso i loro contrasti.
Per Licorice Pizza Anderson torna nella contea di Los Angeles in cui è nato e che ha fatto da teatro a molti dei suoi film. Torna dunque ai ricordi della propria infanzia, in quegli anni Settanta che l’hanno visto crescere e che hanno dato alla luce il cinema che lo ha formato, a partire dal suo mentore Robert Altman, e che non ha mai abbandonato. Ma la San Fernando Valley di Licorice Pizza non ha l’aspetto di una fredda ricostruzione e non si compone di meri omaggi e citazioni. È invece un luogo che sorge direttamente dalla memoria, da una fedele immaginazione, dal sentimento. Un luogo che prende vita propria e che riflette quella dei due protagonisti. Lo sguardo si posa immediatamente su di loro e se ne nutre, a partire dal primo incontro, dove la macchina da presa li avvolge e li accoglie, calamitata, senza più staccarsene. Tutto nasce da qui, dalla sfacciata proposta di uscire a cena di un ragazzo di dieci anni più giovane, sufficiente a creare un inscalfibile legame che plasma la direzione del film. Non c’è altro sviluppo se non quello del loro rapporto, che prende le forme di una danza nella quale si cercano, si separano, si scontrano. Si allontanano per poi ritrovarsi più vicini, come nella simbolica inquadratura in cui, uscendo dal commissariato, l’immagine di Gary si allontana dal riflesso di Alana per poi ritrovarsi abbracciato a lei.
È un andamento oscillatorio che delinea un film improntato sul movimento e sulle direzioni, quelle dei loro sguardi e delle corse che si riverberano e che riecheggiano nel finale. Come in Jules e Jim e in Bande à part, la corsa a perdifiato è un atto di pura sospensione e spensieratezza. È l’atto dell’amore, in questo caso, che è già così vivido in quei momenti, pur impiegando tutto l’arco del film per rivelarsi. Licorice Pizza richiama la Nouvelle Vague anche per la rarefazione narrativa, tralasciando l’azione per rifugiarsi nelle percezioni, nell’osservazione, negli impulsi vitali dei personaggi e nel loro amore.
D’altronde è una delle caratteristiche del cinema di Anderson quella di originarsi da un impulso, da una traccia, che si espande sino a fluire liberamente e misteriosamente, con digressioni che come in un flipper sviano e rifrangono. Nella sua natura episodica di Licorice Pizza, emergono personaggi come quelli interpretati da Sean Penn e Bradley Cooper, appartenenti a un mondo infantilmente adulto che si scontra con quello dei due protagonisti, ostacolandoli senza però fermarli. Il loro è un percorso segnato sin dal primo incontro e vive di quell’istante, in una radiosa e splendida dilatazione temporale che riflette l’amore, il cinema e la magia di cui sono composti.
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