[#tbt] Grazie Don Buchla per la techno

Nelle ultime settimane ho impiegato un numero spropositato di ore nel cercare e guardare video demo, discussioni online e tra amici e pagine dei vari mercatini musicali online nella ricerca di un sintetizzatore che facesse al caso mio da un punto di vista creativo tanto quanto da quello economico (ahimè, molto scarso).

Da lì, si è aperta un’enorme sequela di dubbi su cosa volessi fare con il mio nuovo strumento e per forza di cose sono entrato in modalità full nerd controllando ogni dettaglio, possibilità timbrica, particolarità del filtro etc. La situazione è definitivamente degenerata quando poi, parlando con gli amici, questo famigerato sintetizzatore per le mie esigenze è stato definitivamente accantonato per iniziare infinite discussioni sulle varie macchine e stili di sintesi.

Ma non sempre il degenerare porta sulla brutta strada; di tutte queste birre, messaggi e pagine internet consultate è venuto fuori un bellissimo confronto tra le varie possibilità offerte dalla strumentazione elettronica e sul confronto East e West Coast. No, non sto parlando della faida nell’hip hop americano anni ’90, ma tra i due metodi di sintesi che principalmente hanno attraversato il mondo dei sintetizzatori negli ultimi 50 anni e dei due produttori che hanno vissuto questo mezzo secolo come protagonisti dell’innovazione tecnologica musicale.

Perchè anche chi non riesce a inquadrare nello stesso contesto termini come onda quadra, patching e oscillatore avrà sentito nominare almeno per sbaglio i nomi Moog, Buchla e alcune delle magiche macchine prodotte nel corso dei decenni. Senza volere fare una lezioncina su queste due diverse scuole di sintesi, al lettore basterà sapere che mentre le macchine Moog tendono a ‘scolpire’ l’onda originaria (tramite filtri e altro), ad Ovest l’ingegnere Don Buchla si basò su un concetto completamente opposto: una sintesi additiva in cui, partendo dall’onda più semplice, si aggiungano altri layer di suono e modulazioni di frequenza (la temibile sintesi FM) ed esaltazioni sulle armoniche.

Vi sembra complicato? Aspettate di vedere il sistema creato dall’ingegner Buchla, completamente diverso dall’interfaccia dei sintetizzatori che siamo più abitualmente abituati a vedere.

Per divertirsi un attimo: il buon Floating Points alle prese con il suo ‘piccolo’ sistema Buchla

A rendere immortali le due scuole di sintesi ci hanno poi pensato due maestre della musica elettronica: a Est Wendy Carlos, che con il suo Bach elettronico (di cui avevo già scritto in occasione della giornata della visibilità transgender) ha rivoluzionato il modo di concepire la musica mainstream, e a Ovest Suzanne Ciani, diventata famosa per le sue sonorizzazioni ed effetti sonori ma già assistente e studente di Don Buchla.

I “Buchla Concerts” di Ciani registrati nel 1975 e pubblicati nel 2016 sono una stupenda dimostrazione delle possibilità dei sintetizzatori Buchla

Ma il primo esempio di album di musica elettronica pubblicato da una casa discografica arriva addirittura nel 1967 con “Silver Apples of the Moon” del compositore americano Morton Subotnik, collaboratore di Buchla e primo vero tester del sistema Buchla 100.

Durante tutto il 1966 e l’inizio del 1967 Subotnik compose e registrò le due facciate di “Silver Apples of the Moon”, 31 minuti di pura sperimentazione sonora di cui ancora oggi stupisce la quantità di timbri, possibilità ritmiche e melodiche e complessità per un genere che fino ad allora esisteva solo nei lavori dei grandi compositori del ‘900 come Stockhausen, Berio, Varèse. Che, in realtà, non avevano a disposizione gli strumenti di cui stiamo parlando.

A 55 anni di distanza, l’ascolto di “Silver Apples” rimane sicuramente ostico per i più, dal suo ascolto si possono già intravedere i semi di quella che sarebbe stata l’elettronica nei decenni a venire. In particolar modo, l’utilizzo di sequenze ritmiche (assoluta novità per i lavori elettronici del tempo) uniti alla natura sperimentale e semi-randomica dello strumento, sembra essere il primo esempio di quella che in futuro sarebbe stata l’IDM. Addirittura raccontano alcune cronache che durante la prima esecuzione del lavoro al nightclub newyorkese The Electric Circus i partecipanti alla serata avessero ballato sulla musica di Subotnik, aiutati a calarsi nell’atmosfera da luci stroboscopiche.

E questo dettaglio delle sequenze ritmiche sarà particolarmente importante per il futuro della musica, in quanto generi come la techno (e i suoi infiniti derivati) si baseranno su questa tecnica di pattern e variazioni sia per lo sviluppo della sezione ritmiche tramite drum machine e campionatori. Volete che sia più chiaro? Ok, in quei minuti della seconda facciata di questo disco trovate già la base del 90% ella musica prodotta da fine anni ’70 in poi.

Contro ogni predizione, il disco vendette bene a suo tempo e negli anni è diventato oggetto di culto e di studio per chiunque si avvicini alle sonorità sintetiche, inserito in gran parte delle classifiche dei migliori album di tutti i tempi e fonte di riflessione sulle possibilità dei sintetizzatori. Tanto per ricordarsi che, mentre molti si stupiscono davanti a titoli roboanti e supercazzole tecniche del producer di turno, c’è sempre qualcuno che l’aveva già fatto prima. E spesso anche meglio.

Ps: per chi fosse curioso di sentire le prime sequenze ritmiche della storia, vada direttamente intorno al minuto 18. Techno storia.

(Matteo Mannocci)