Come si giunge ad un’opera fotografica che lascia il segno? Una componente essenziale è l’istinto. Ma l’istinto da solo non basta, c’è bisogno di una creatività che sappia costruire un pensiero forte per ogni situazione cui si viene incontro. La fotografia può sembrare un’arte facile, ma non lo è. Per una fotografia matura, è necessario un coinvolgimento personale che fa da contraltare ad un distacco professionale. Ci si imbatte nei meandri della constatazione di un fatto con cui si può giocare con la propria personalità nel rispetto dell’identità di persone o realtà che si hanno difronte. Gerald Bruneau, negli anni sessanta, realizza luci psichedeliche per concerti di gruppi musicali importanti quali i Pink Floyd, all’interno di un contesto underground, a Parigi, in cui si era trasferito nel 1967 da Monaco. In quell’epoca Parigi, collegata con Londra, era una piazza importante per queste sperimentazioni. Successivamente ha iniziato a vivere tra Roma, New York e Capri.
E’ proprio a Capri, durante un inverno passato lì, che Bruneau comincia a fotografare: il progetto si chiamava I nidi dell’oblio e documentava tutte case avvolte nel mito, appartenute da fine ottocento a personaggi mitici, che a Capri erano andate in rovina o erano state abbandonate dopo essere state abitate da un amore tragico o particolare.
È uno stile consonante con la sua anima. A New York si facevano anche serate, ad esempio al Plaza, dove la compagna di Bruneau, veniva celebrata come chairman of the bord, e vi partecipavano personaggi oggi celeberrimi quali Truman Capote o lo stesso Warhol.
Lo rappresenta l’agenzia Grazianeri, l’unica internazionale che lavora in Italia. Uno scoop importante è stato quello sul sindaco di Quindici, camorrista, che, dopo il terremoto di Napoli, viene attaccato da altri camorristi davanti al Municipio del luogo e alle elezioni viene rieletto suscitando l’intervento del Presidente della Repubblica che lo sostituirà.
Nel 1994 inizia la sua relazione con Adriana Faranda, fotografa e scrittrice (ed ex brigatista), con cui lavora; qui cambia completamente la sua vita, ricomincia tutto daccapo. In questo periodo torna ad interessarsi al ritratto, di politici, uomini di cultura, artisti, attori. Nel ritratto si esprime con l’improvvisazione, cambi di visuale, attraverso la provocazione o anche l’ironia cercando di entrare nella vita del soggetto che ha difronte e di far accadere una reazione con situazioni che può sfruttare in maniera spiazzante.
Dalle parole di Bruneau:
“I ritratti a volte possono essere simili ad una danza, ad una cerimonia Voodoo, ad un rito.”
Sulle pareti scatti di Bruneau, mentre nell’aria le immagini rimontate in chiave personale da Alex Marenga, accompagnate da composizioni sonore inedite, come in una rilettura delle fotografie del maestro.
Al piano terra si apre la mostra con La bellezza disattesa dei Bronzi di Riace dove i famosi scatti di Bruneau sui Bronzi testimoniano quell’irriverenza verso esempi di virilità classica e verso uno spazio istituzionale quale il Museo, trasformando le due statue in icone pop, ma anche gay, trans o queer. Egli definisce questo lavoro:
“Pamphlet irriverente. L’irriverenza era naturale, era un godimento, per beffarsi dell’autorità anche in un contesto politico”.
Sul ballatoio viene presentato il progetto Lights and shadows on Warhol, una sezione dedicata ai ritratti dove l’autore ha immortalato Warhol, che si trova in posa o durante le fasi di lavoro. Tra impacciatezza ed esibizionismo restituisce un carattere del padre della Pop Art serioso e formale allo stesso tempo con colori densi e ricercati.
Ci dice Gerald:
“Lì con Pavarotti c’eravamo io e Adriana. Facevamo delle regie perché lui era un improvvisatore pazzesco. Per farlo partire con la fantasia, ho visto sotto l’albergo un venditore che aveva dei cocomeri, li ho comprati e da lì è iniziata l’action. Ad esempio, gli chiedevo di darmi un do di petto o di cantare e lui si prestava perché era un grande attore, un uomo di spettacolo.”
L’azione, ricorda l’autore, è stata divertente e coinvolgente e, tra l’altro, grazie al cocomero, anche patriottica perché tramite il frutto, la sua buccia e la sua polpa, si palesavano i colori dell’Italia.
Insomma: l’italo-francese Gerald Bruneau, ha saputo interpretare la fotografia a livello nazionale ed internazionale restituendoci una miscellanea di emozioni che dal Pop hanno viaggiato nei canali dell’irriverenza a stento tenuta a freno con continue provocazioni e punti di vista sempre originali e interessanti.
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