“A Hero’s Death” dei Fontaines D.C., il primo ascolto

Ci avventuriamo nel “primo ascolto”,  ovvero nel mettere nero su bianco le primissime sensazioni di quando, si diceva una volta, si mette la puntina sul piatto, del secondo album dei Fontaines D.C., gruppo cover per questo luglio 2020.

1. I Don’t Belong

Singolo già edito, la band irlandese comincia rallentando il ritmo dell’esordio “Dogrel”, avvicinandosi pericolosamente nei territori dei Joy Division. “Non appartengo a nessuno” è il refrain. Vediamo cosa ci attende il prosieguo dopo questo incipit indolente.

2. Love Is The Main Thing

I fantasmi di Ian Curtis continuano ad aleggiare, anche nel significato di questa altrettanto disillusa e dolorante canzone portata avanti da una marcetta quasi funebre: “l’amore è la cosa principale, ma è sempre la stessa cosa”. C’è spazio per la speranza? Sì, poco poco, uno sperare silenziosamente (“Silently hoping”)

3. Televised Mind

Ecco che i nostri iniziano a fare sul serio: quando è stata pubblicata, agli inizi di luglio, avevo scritto che “Televised Mind” faceva il botto. In effetti la sensazione, per molti, è stata quella di trovarsi di fronte a un pezzo che potrebbe restare nel nostro immaginario di traditi dall’indie-rock e ancora in cerca di qualcosa che ne soppianti il vuoto (e alla ricerca di noi stessi). Noi che siamo cresciuti ancora con “menti televisive” che probabilmente ci hanno storpiato il vero senso delle cose per cui val la pena vivere (“Turn ideals to cabaret”). La conseguenza non è delle più piacevoli: “And I wish I could die”.

4. A Lucid Dream

La velocità si mantiene, sembra che “A Hero’s Death” abbia ingranato. Come se nelle prime due canzoni si fosse sentita l’influenza della prima incisione, poi scartata, a Los Angeles, di atmosfera noir e pesante della città (“Abbiamo bevuto solo whisky”, hanno dichiarato a NME) poi sciacquata (anzi proprio riregistrata) nei sobborghi di Londra.
A metà canzone si scollega il basso e tutto esplode: la disperazione forse passa, perché “la pioggia ha cambiato direzione” e non ci bagna più.

5. You Said

Inizio tipicamente Interpol, le nuvole si sciolgono, anche se in realtà occorre “muoversi sempre più velocemente” (“operating faster”). Non ci si pensa nemmeno a rallentare. E’ una sorta di acquerello tenue, una canzone forse più gregaria di altre.

6. Oh Such A Spring

I Fontaines DC hanno pure un cuore, e lo dimostrano in “Oh Such A Spring”: più che una classica ballata rock, una quasi ballata folk.

Giù al molo
Il tempo era bello
I marinai stavano bevendo vino americano
E ho desiderato di poter tornare di nuovo alla primavera

E pare di essere in Irlanda a sperare che torni la primavera.

7. A Hero’s Death

La titletrack, che già conosciamo, è una lucida dichiarazione d’intenti: nonostante le difficoltà, “la vita non è sempre vuota e arida”. I Fontaines hanno dichiarato che per questo album si sono ispirati ai Beach Boys (!) e forse in questa canzone qualcosa c’è (i coretti, poca roba peraltro).

8. Living In America

La band irlandese ha fatto un lungo tour negli States a seguito di “Dogrel”, e qui quasi ne incorpora le sensazioni, come se i National fossero sprofondati ancora di più nell’abisso. “London’s fine”, ma vuoi mettere i fantasmi americani?

9. I Was Not Born

Arriva uno dei primi riff dell’album, quasi loureediano, e il brano si sviluppa lungo vie classiche del rock seventies. Epicità, consapevolezza e sana ribellione verso l’indipendenza: “Non sono nato / In questo mondo / Per eseguire gli ordini di un altro uomo”. I Fontaines D.C. ci ricordano che provengono da una storia molto vecchia che li precede, e ci si inseriscono a pieno diritto.

10. Sunny

L’andamento si fa jazzato, forse c’è il sole ma non ne siamo così convinti. Il dialogo di un padre che non ce l’ha fatta con il figlioletto si trasforma in una dichiarazione di resa. Dove siamo stati quando ci si sveglia da un sogno?

11. No

Solo una chitarra, e una voce chiara: quando i Fontaines ci mettono un po’ di melodia (non usiamo la parola pop che è fuori luogo) la tradizione irish risalta fuori. Come una “All I Want Is You” sbilenca, una outtake meno istrionica dei Pogues, “No” chiude questo “A Hero’s Death” lasciandoci l’impressione di avere viaggiato all’interno di un mondo che forse non esiste più. Che però è ancora più bello rivivere, qualche volta.

(Paolo Bardelli)