WILD NOTHING, “Laughing Gas” (Captured Tracks, 2020)

La musica di Wild Nothing è sempre stata trasformativa e sfuggente per sua stessa natura. Fin dal brillante esordio di “Gemini”, passando per il gioiello onirico di “Nocturne” e le svolte intimiste di stampo post-wave di “Life Pause” e di “Indigo”, la creatura di Jack Tatum ha attraversato, con alti e bassi, tutto il corso degli anni dieci, dimostrando una longevità rara nella musica pop, dovuta in gran parte a una notevole capacità di reinventarsi: la ricetta tatumiana prevede l’attingere da elementi del passato (gli anni ottanta soprattutto) con uno sguardo ben fisso sul contemporaneo per non lasciarsi ingabbiare in categorizzazioni di genere né nella retorica vintagista.

Perfino in “Laughing Gas”, EP composto da cinque tracce emerse nel corso delle sessioni di produzione di “Indigo”, Tatum riserva grandi sorprese. “Laughing Gas” è infatti tutt’altro che un semplice B-side del precedente LP, da cui si distacca per sonorità, concept e atmosfere: laddove “Indigo” è ancora permeato da chitarrismi mai prima d’allora così spinti in direzione post-wave, con i Cure di “Pornography” nelle vesti di punto di riferimento inossidabile, ”Laughing Gas” segna l’abbandono quasi definitivo delle chitarre in favore di una formula synth-basso-drum machine che, dopo la partenza molto soft di “Sleight of Hands” e “Dizziness”, evocanti atmosfere già esplorate da Ducktails, dispiega paesaggi sonori siderei che rappresentano l’habitat espressivo naturale di Wild Nothing (il ritmo vertiginoso di “Foyer” in particolare, e la danza macabra di “Blue wings”!). La voce di Tatum ha acquisito in versatilità rispetto al sussurrato introverso a cui ci ha abituato negli anni e, pur conservando intatta quella caratteristica di impermanenza che la rende speciale, non esita ad avventurarsi in falsetti ed eco che ben si innestano nelle sonorità e nell’espressione di testi raramente così ispirati. La vera perla la troviamo però in chiusura: “The World is a Hungry Place” è una sonata a tinte jazz cosmico in cui, sulla solita consistente base di basso e drum-machine, riaffiora per la prima volta un arpeggio di chitarra elettrica innescato per richiamare un sax così fuori dal tempo da suscitare amore per il passato e nostalgia del futuro.

 

 

74/100

(Emmanuel Di Tommaso)