BBV No. 36: Italo-Psycho

Italo-Psycho: un capitolo di BrainBloodvolume dedicato alla psichedelia Made In Italy con due pubblicazioni del 2019 e una “appendice” con il ripescaggio di un bellissimo disco uscito nel 2018 per la Maple Death Records.

INDIANIZER, “Nadir” (Edison Box Records, 2019)

Esce per la Edison Box Records il terzo LP di Indianizer, progetto nato a Torino nel 2013 (la band è composta da Gabriele Maggiorotto, Matteo Givone, Riccardo Salvini, Salvatore Marano) e ultimo capitolo di una trilogia cominciata con “Neon Hawaii” nel 2015 e proseguita l’anno scorso con la pubblicazione di “Zenith”. C’è, così come ha voluto presentare il disco lo stesso gruppo, un filo conduttore tra i tre album. Il primo raccontava un viaggio alla ricerca di un “posto nascosto sotto il sole”, il secondo voleva inseguire la luce attraverso l’oscurità, “Nadir” infine vuole investigare dentro misteri irrisolti e verità mai rivelate e come tale, viene considerato l’esatto opposto del precedente ed è stato composto in maniera simmetrica a questo. Il gruppo mostra devozione all’astrologia e a quella che possiamo considerare come cabala, ma questa forma di misticismo si mescola nel loro ideale a una figura terrena e un leader carismatico come Thomas Isidore Noel Sankara, noto semplicemente come Thomas Sankara (1949 – 1987), teorico del panafricanismo, ultimo presidente dell’Alto Volta e il primo del Burkina Faso. Adesso su di lui, su Thomas Sankara, ci sarebbe veramente tantissimo da dire, quindi sarà meglio concentrarsi sui contenuti di questo disco che, anticipato dal singolo “Horoscopic (Saturn Returns)” lo scorso giugno (con tanto di video diretto da Gabriele Bertotti), è un lavoro sicuramente convincente. Si allinea a produzioni discografiche come quelle di Goat oppure un altro gruppo italiano come gli In Zaire, loro citano tra i punti di riferimento gli Os Mutantes, Hailu Mergia, ma pure i King Gizzard: sicuramente c’è tanto quel “psych-tropical-beat” di cui parla il gruppo, così come situazionismo lounge spaziale e disco-makossa e jazz progressive. Il pezzo migliore sicuramente la traccia introduttiva “New Millenium Labyrinth” e i momenti maggiormente makossa come la rtance di “Sin Cleopatra” e l’allegoria del già citato singolo “Horoscopic”. Forse il disco perde qualche colpo sulla distanza, ricerca il colpo ad effetto, ma il vibe si perde alla lunga in una certa oscurità, sembra quasi arronzare e si seguono tracce quasi indie tipo Animal Collective e accenni Syd Barrett che stonano. Appare una specie di compiacimento come stare sotto il solleone d’estate tipicamente italiano, ma qui vogliamo leggere tutto questo come margini di crescita che ci sono e che saranno presto colmati. Resta un bel trip allucinogeno e qualche cosa che proprio per la sua natura intrinseca ed estrinseca, merita di essere vissuto dal vivo per essere goduto appieno.

66/100

Appendice: SABASABA, “SabaSaba” (Maple Death Records, 2018)

Appendice, ma si fa per dire, al disco pubblicato dagli Indianizer, dedicata a un disco uscito l’anno scorso per la Maple Death Records, label che apprezzo particolarmente (mi piace) e gestita da Jonathan Clancy (Settlefish, A Classic Education, His Clancyness) che ha lanciato il progetto nel 2015 con la pubblicazione di uno split His Electro Blue Voice / Havah. Il gruppo si chiama SabaSaba, viene da Torino ed è composto da Tommaso Bonfilio, Andrea Marini e Gabriele Maggiorotto, che è appunto anche uno dei quattro componenti degli Indianizer. Il sound del gruppo, che ha pubblicato questo primo LP nel maggio 2018, è sicuramente molto particolare e in bilico tra alcune pubblicazioni proprio di marca Maple Death Records e quelle della Boring Machines di Onga. Non è un caso del resto che tra i collaboratori alla realizzazione del progetto vi sia Everest Magma aka Rella The Woodcutter (che suona l’organo su “Magma”) e che le registrazioni e il missaggio siano opera di Paul Beachamp, oltre che di Mikey Young (Total Control). Se ci aggiungiamo che nel disco vi sia anche la presenza di Father Murphy (“Red Nights”) chiudiamo così le presentazioni, attirando sicuramente l’attenzione di molti e accreditando questo progetto come degno di interesse a prescindere. Va detto tuttavia che l’ascolto non potrà che confermare quanto le premesse possano suggerire di buono. Il disco, lungi da essere materiale facilmente avvicinabile, è un’opera di avanguardia sperimentale, che mette assieme set di trance drone e industrial e materia oscura psichedelica che è appunto magmatica, ribolle di vita come se fosse una specie di brodo primordiale. Principi di dancehall dub dal carattere inquietante e mostruoso, assumono misure scomposte e deformi, hanno un carattere ripetitivo e ossessivo eppure allo stesso tempo imprevedibile come quella anomalia che nella genesi del nostro universo, ha comportato quello “scombino” nel vuoto e che poi è appunto in buona sostanza una costante, una ripetizione, infinita, di quello che possiamo definire come “solito”. E non c’è niente di più spaventoso. La presentazione del disco tira in ballo Ballard e William Gibson e dico che va bene così, chiaramente sono due punti di riferimento che considero imprescindibili per cogliere la natura amorfa di questo lavoro, così come l’intero immaginario di Cronenberg. È un’opera che ha una mistica pagana e che è una pratica di esoterismo, che richiama a ritualità senza tempo. Si fa volontà di raccogliere l’eredità e le testimonianze della storia della dinastia Salomonide, propagazione fino ai giorni nostri del “Kebra Nagast”, la raccolta delle voci e del sangue di generazioni dopo generazioni, un cifrario nascosto all’interno di una cassa di legno ricoperta d’oro zecchino, custodita da chierici che si tramandono il segreto generazione dopo generazione sin dalla fondazione del Regno di Axum. Parola di Re Ezanà.

74/100

JENNIFER GENTLE, “Jennifer Gentle” (La Tempesta Dischi, 2019)

Inaspettato, ecco il lungo ritorno dei Jennifer Gentle. Costruito attorno alle visioni della pop-psichedelia floydiana di marca Syd Barrett, il gruppo nasceva alla fine degli anni novanta come progetto del cantante e chitarrista Marco Fasolo e il batterista Alessio Gastaldello. L’escalation del gruppo verso quello che si può giustamente considerare successo e attenzioni di pubblico e critica fu rapido e fino all’approdo nel giro di pochi anni all’approdo sulla mitica label Sub Pop e la pubblicazione di un disco “storico” per la musica pop-rock italiana come “Valende”. L’ultimo disco vero e proprio del gruppo (Alessio Gastaldello aveva intanto lasciato i JG, attorno a Fasolo si sono alternati negli anni diversi musicisti e formazioni sempre differenti) è uscito nel 2007 (“The Midnight Room”, Sub Pop) e seguito dopo poco dal più sperimentale “Concentric” (A Silent Place, 2010). Da allora Fasolo si è disimpegnato in diversi progetti sia come musicista che come producer, praticamente si può dire che non sia mai stato fermo (ci sono state anche date dal vivo dei JG con i fratelli Alberto e Luca Ferrari dei Verdena), e fino a gli I Hate My Village, ma ci ha messo un po’ prima di questo “ritorno a casa”. Formazione nuova quindi, con Diego Dal Bon alla batteria e Carlo Maria Toller al piano (dal vivo si aggiungeranno Kevin Magliolo, Carlo Poddighe, Alessio Lonati) e un nuovo disco eponimo in uscita a ottobre per La Tempesta Dischi, che contiene ben 17 canzoni. Lo stile in buona sostanza si potrebbe dire immutato per quello che è l’impianto di base: il marchio di fabbrica barrettiano è la base attorno a cui nascono pezzi che hanno il carattere più psichedelico dei Beatles come “Just Because”, “Only In Heaven”, “More Than Ever”, la più complessa “Swine Herd” e il songwriting Lennon di “What In The World”, l’allegoria “Flying” minimal di “Love You Joe”, ma pure la traccia conclusiva “Theme”. Prevedibili, diciamo così, anche richiami a Marc Bolan tipo “Beautiful Girl”, “Guilty”, pezzi pop-rock anni sessanta più tosti come “Do You Hear Me Now”, “You Know Why”, mentre alcuni pezzi con tonalità più oscure come “Temptation” oppure “My Inner Self” introducono elementi più particolari, hanno una specie di carattere mantra psichedelico sotterraneo che va per la maggiore tra le produzione tipo Fuzz Club Records. Un bel disco, più che semplicemente un gradito ritorno, con l’interrogativo su se possa essere la base per riproporsi già nel prossimo annunciato tour autunno-inverno (comincerà da Brescia il 24/10) con uno slancio che rilanci il progetto JG in una maniera rinverdita e convincente perché senza togliere a questo lavoro, soprattutto a chi si avvicini per la prima volta a questo gruppo, penso in primis alle “nuove generazioni” non posso che suggerire allo stesso tempo con convinzione di recuperare anche il materiale precedente e con un occhio di riguardo con due fondamentali come “Funny Creatures Lane” del 2002 e il già citato “Valende”.

67/100

Emiliano D’Aniello

Illustrazioni: Tony Palladino (1930-2014).