Built To Spill, Locomotiv Club, Bologna, 24 Maggio 2019

Un Locomotiv sold out ospita la prima di tre date italiane del tour celebrativo del ventennale di “Keep It Like A Secret”, il disco del grande successo di critica e pubblico per i Built To Spill. Il gruppo del chitarrista/cantante/unico membro fisso Doug Martsch – classe ’69 da Twin Falls ma di stanza a Boise – è da annoverare tra i progetti più esaltanti dell’indie rock americano: ne toccano infatti ogni sfumatura cromatica in brani peculiarmente nostalgici e al tempo stesso multiformi, invadendo le sicurezze di chi ascolta come se i cambi di direzione e le architetture sonore al loro interno fossero teoremi algebrici e le costanti Neil Young, Pixies, Lou Reed o Wire.

La serata comincia alle 20.30 con gli Orua (che mi perdo, venendo da Rimini) e i Disco Doom, quartetto di Zurigo il cui ultimo lavoro “Numerals” del 2014 ha permesso loro di aprire per nomi importanti quali Giant Sand, Black Angels e Dinosaur Jr; i giovani strumentisti offrono canzoni dal piglio melodico ma con una buona dose di rumore mentre il leader Gabriele De Mario si prodiga in battute e apprezzamenti agli Skiantos, “l’unica band buona in Italia”. Mi riprometto di approfondire anche se l’occasione per farlo datami dal merch lascia spazio a una t-shirt dei Built To Spill.

Ed eccoli, dopo un quarto d’ora di cambio palco sulle note di “Cure For Pain” dei Morphine. Il nostro guida la Stratocaster negli assoli dirompenti che caratterizzano “You Were Right”, con liriche piene di rassegnazione, “You were right when you said we’re all just bricks in the wall/And when you said manic depression’s a frustrated mess/You were wrong when you said/Everything’s gonna be alright“. Poi è la volta di “Time Trap” e “The Plan” dove ritmo e amalgama del gruppo crescono; in “Temporarily Blind” anche la voce di Martsch prende vigore e non sfigura nel falsetto delle strofe: il pezzo si dilata in un intreccio di chitarre acide e un basso dalla linea new-wave nel finale. Allo space-blues di “Else” segue un trittico di brani micidiali, da “Carry The Zero” (vicina alla produzione catchy degli Smashing Pumpkins) a “Sidewalk” (un modello da imitare per i Modest Mouse) la gente accompagna in coro e nelle prime file si poga; “Broken Chairs” è il manifesto dell’album e della fine degli anni novanta, nella tematica di rottura proposta anche dai Deus in “The Ideal Crash” sempre del 1999. I versi di Martsch appaiono perciò irreprensibili: “Where starvation’s necessary/’Cause my head’s a dictionary/Of long spring days and the speech of crows/Who themselves are mirrors of apprehension in the fallen sun/Well, alright/You can make it stay“, chiusa di “Keep It Like A Secret”.


La seconda parte di live è una rassegna di altre perle di repertorio che girano matematicamente tra una data e l’altra. “Planned Obsolescence” è un brano del 1996 realizzato insieme a Calvin Johnson dei Beat Happening sotto la sigla The Halo Benders; “Three Years Ago” viene dall’album d’esordio dei Built To Spill ed è, in una parola, stratosferica – poteva venire anche da un “Slanted And Enchanted” o un “Green Mind”. Come lo è “In The Morning”, da “There’s Nothing Wrong With Love”, l’album con cui li ho scoperti. Non può mancare neanche un estratto da quello che è il capolavoro indiscusso della band, “Perfect From Now On”, titolo anche del libro biografico di John Sellers dove Doug Martsch viene collocato dall’autore alla numero sei tra i dodici migliori chitarristi alternative; la scelta cade su “I Would Hurt A Fly” mentre a Roma e Milano eseguiranno “Randy Described Eternity”: livelli altissimi. Dopo una cover (“Harborcoat” dei R.E.M.) e “Strange” da “Ancient Melodies Of The Future” del 2001 il timido e sudatissimo Martsch ringrazia il pubblico bolognese: finisce in gloria un evento rock che porteremo nella mente e nel cuore.

Questa la scaletta dei Built To Spill al Locomotiv Club:

(Matteo Maioli)