ROYAL TRUX, “White Stuff” (Fat Possum, 2019)

Vuoi più bene a mamma o a papà? Domanda scomoda alla quale bisogna sempre rispondere con diplomazia scavallando ricordi o entusiasmi momentanei. Io voglio bene alla mia famiglia. Quindi vuoi più bene a Neil Hagerty o a Jennifer Herrema? Stesso dilemma di un bimbo che non può e non vuole scegliere.

Da ragazzino l’Herrema era il sogno erotico, l’immaginario rock, il proibito, il bello e impossibile. Neil era colui che stava dietro, arrancando a cotanta bellezza, facendosi di brutto per non pensare a quello squilibrio estetico. Oggi la situazione si è ribalta. Jennifer non ha contenuto gli eccessi e gli eccessi hanno reso lucido e “attraente” Hagerty. Ma quindi a chi si vuole più bene?

Io voglio bene alla mia famiglia. Io voglio bene a “Twin Infinitives”. Il disco più assurdo della storia del duo.

Il disco più assurdo in generale che il rock abbia partorito. 29 anni fa. In piena tempesta grunge i Royal Trux diedero alle stampe qualcosa di assolutamente avanguardistico, di folle, destrutturarono il rock e si bruciarono cellule e cervello.

Dal loro ultimo lavoro in studio (“Pound for Pound”) di anni ne sono passati ben 19 in cui i due si sono dedicati ai loro progetti solisti (Black Bananas, Howling Hex); ora dopo le sempre più frequenti apparizioni live il nome Royal Trux torna con “White Sfuff”.

Inutile dire che il passato non può tornare, però ti può dire chi sei.

Inclassificabili erano anni fa, inclassificabili sono ora.

Fuori tempo (sempre avanti, o sempre indietro, dipende dai casi), fuori moda, fuori e basta.

La musica dei Royal Trux nel 2019 è qualcosa di talmente bizzarro per i tempi che ti fa quasi piacere

aver aspettato così tanto tempo per vederli live (Primavera Sound, 2017) e scoprire che tutti i difetti non sono altro che pregi.

Musica che ha guadagnato in tecnica (il lavoro svolto da Neil sui riff e sulle parti di chitarra “tutte” ha qualcosa di incredibile) e non ha perso in credibilità (la voce della Herrema è un lascito sguaiato di chi sembra atteggiarsi ma invece è dannatamente reale). E poi c’è sempre quella voglia di essere al passo (l’hip hop di “Get Used To This”, il passo felpato che diventa alt-rock d’alta scuola “Sic Em Slow”, il garage di bassissima fedeltà “Under Ice” fino al riff che farebbe gridare alla hit “White Stuff” e invece è un attimo che si torna nella melma) rimarcando sempre con fierezza la totale estraneità alle regole del mercato.

Bentornata famiglia poco tradizionale. Io vi voglio bene lo stesso.

 

70/100

(Nicola Guerra)