Intervista ai Quercia

Una band non deve scendere a patti con le circostanze del caso: l’unica alternativa possibile, in sala di registrazione, deve essere sempre la strada della sincerità e dalla coerenza.
I Quercia sono tornati con uno spirito lindo e sincero in “Di tutte le cose che abbiamo perso e perderemo”.
Il disco è un piccolo manifesto, un corso accelerato per chi vuole gridare le proprie sconfitte e le insicurezze, in totale libertà. L’immediatezza dell’album è esattamente nella sua mancata pacatezza, non è contemplato lo scendere a patti con nessuno.
Noi abbiamo incontrato i Quercia proprio per entrare a “gamba tesa” sul disco e sul loro profondo cambiamento.

Ciao ragazzi, siete tornati con questo nuovo album (con un titolo estremamente bello) dopo un primo disco che è stato molto importante. Come avete elaborato l’esperienza collezionata durante il primo disco e il primo tour?

È stato molto bello vedere come in poco tempo il nostro EP sia riuscito ad ottenere un riscontro, per noi, così relativamente grande. Ad essere onesti non ci aspettavamo niente di simile.

 

Il distacco da “Non è vero che non ho più l’età” è stato traumatico?

In realtà poco dopo l’EP abbiamo sentito la necessità di avere delle sonorità più ruvide, quindi è stato tutto abbastanza naturale.

 

Dal primo ascolto si sentono che le intenzioni di questo “nuovo capitolo” sono nettamente cambiate. Come avete cominciato a lavorare su questo disco? Quali sono stati i primi spunti?

Già durante il nostro primo tour (primavera del 2017) avevamo portato dal vivo dei pezzi inediti mai pubblicati, che sono stati – come altri ancora – scartati, in favore di una continua ricerca musicale. Effettivamente, abbiamo quindi continuato a produrre durante questo periodo di non pubblicazione, nonostante le difficoltà dettate dalla distanza che separa 3/5 di noi dagli altri 2/5. I primi spunti sono stati dei riff di Cristiano, subito dopo di Riccardo, alcuni vecchi, altri meno, sul quale abbiamo lavorato in maniera abbastanza spontanea. Una volta registrati dei provini amatoriali sono stati scritti i testi in due settimane, dopodiché è stata rivista numerose volte un po’ tutta la sezione strumentale, fino ad arrivare alle dodici tracce che compognono il disco.

 

C’è qualcosa in particolare che sentivate di aver perso, nel corso degli anni, o qualcosa che oggi avete paura veramente di perdere? (in riferimento al titolo del lavoro)

Alcuni di noi hanno perso delle persone nei modi che meno si sarebbero aspettati, e conseguentemente alcune di quelle che percepiamo come le più scontate sicurezze di tutti i giorni. Tutt’oggi non diamo nulla per scontato.

Una cosa che sicuramente abbiamo perso durante la lavorazione di quest’album è un certo senso di serenità, di leggerezza.

Se non sbaglio avete fatto anche un piccolo tour acustico nei mesi passati. Come queste esperienze, anche molto diverse dal punto di vista del sound, le avete inglobate nel lavoro?

Praticamente in nessun modo, i brani erano già tutti composti quando abbiamo iniziato a suonare dal vivo in acustico. Tuttavia, durante queste date abbiamo colto l’occasione per iniziare a suonare – anche se, appunto, in acustico – qualche brano che poi sarebbe finito nel disco, e questo ci ha permesso di valutare alcuni cambiamenti in corso d’opera, al fine di predisporre ulteriormente l’album ad essere poi suonato dal vivo.

I titoli in tracklist sono come dei piccoli mondi che si aprono alle orecchie dell’ascoltatore. Come vi sono venuti fuori? Dietro questi titoli ci sono dei riferimenti poetici/letterari particolari?

Non c’è alcun riferimento particolare. Prima di tutto, ci piaceva l’idea che i titoli delle tracce consistessero in parole singole, che potessero sintetizzare un concetto o anche solo un’immagine. Per il resto, ogni titolo è legato in qualche modo alla chiave di lettura più nascosta della relativa traccia.

Qual’è per voi una definizione efficace della parola cambiamento?

Crescita. Il cambiamento non consiste quasi mai nell’allontanarsi da sé stessi o dalla propria natura, quanto comprendere come avvicinarcisi un po’ di più. Cambiare significa sempre doversi adeguare nuovamente alla realtà, per questo spesso fa così male.

Cosa stavate ascoltando durante la produzione del disco?

Per rispondere a questa domanda, alleghiamo tre screenshot dei brani più ascoltati da Yost (Cristiano) durante il 2017, anno di produzione del disco.

(Gianluigi Marsibilio)