AFRICA FOR AFRICA no. 8: KOKOROKO, “KOKOROKO” (Brownswood Recordings, 2019)

Tra i dischi migliori di jazz oppure semplicemente tra i dischi migliori usciti lo scorso anno, va inserito sicuramente “Your Queen Is A Reptile” (Impulse!) dei Sons Of Kemet, collettivo di base a Londra e capitanato dal sassofonista Shabaka Hutchings, nato a Londra, ma cresciuto alle Barbados: un disco dai forti contenuti ideologici e culturali e che guardava al continente africano con riferimenti all’afro-beat come alla storia del continente e ponendo l’attenzione su una scena jazz londinese che appare in questo momento tra quelle più orientate verso forme sperimentali e che vadano a pescare nella mescolanza tra sonorità di avanguardia e afro.

Qui ne abbiamo un altro esempio. KOKOROKO è un gruppo composto da otto elementi, guidati da Sheila Maurice-Grey e che paga devozione alla tradizoine dell’afro-beat a partire dal supermito Fela Kuti, ma che in generale volge lo sguardo a quel contesto multiculturale che è l’Africa occidentale.

Il gruppo era stato “presentato”, diciamo così, l’anno scorso su una pubblicazione della label Brownswood Recordings, una compilation intitolata “We Out Here” e dove tra gli altri musicisti selezionati compare anche proprio Shabaka Hutchings. Questo EP (omonimo, “KOKOROKO” in lingua “orobo”, una tribù nigeriana, significa “essere forti”) di quella pubblicazione è il seguito naturale e che in sole quattro tracce (ma comunque per una durata complessiva superiore ai venti minuti) mostra la grande ecletticità di questo gruppo. Il sound è caldo e tipicamente afro-beat sin dalla prima traccia, il groove irresistibile di “Adwa”, chiaro riferimento alla città etiope, che lascia spazio anche alle capacità tecniche e a quella componente “istrionica” dei componenti del gruppo. “Ti-de” è un pezzo che ha un accento più occidentale e inserisce dimensioni di jazz tradizionale nel contesto africano, ricreando atmosfere fortemente evocative; “Uman” esalta la sezione di fiati, mentre la conclusiva “Abusey Junction” (il pezzo già inserito nella su citata compilation della Bronswood) ci cala letteralmente nei tramonti del Gambia, usati come fonte di ispirazione nella scrittura del pezzo da parte del chitarrista Oscar Jerome.

Il disco affronta ideologicamente temi importanti, come città che ritornano a vivere copo il conflitto, tradizioni popolari dell’Africa occidentale, la celebrazione della “superdonna nera” di “Uman” e che rivendica il ruolo delle donne africane all’interno della società e la loro dignità in tutto il mondo. Tematiche che comunque sono anche queste una “premessa” e una componente aggiuntiva al giudizio complessivo su questo album. Alcune scelte, quelle di non ricercare registrazioni particolarmente curate, ma anzi prediligere un suono con un approccio più istintivo, viscerale, danno una maggiore densità e potenza al suono e lo rendono più vero, autentico, vicino all’ascoltatore. Forse siamo davanti a quello che può essere il prossimo fenomeno della musica afro, questi ragazzi vanno tenuti d’occhio.

(Emiliano D’Aniello)