BEAK>, “>>>” (Invada/Temporary Residence, 2018)

Le profezie di Jack Burnham sull’arte modernista si riversano in musica: dischi che escono come Iphone e un profondo senso di essere sopraffatti dalle uscite che ogni venerdì affollano il nostro Spotify.

Il sistema è cambiato, per ora è difficile e precoce dire se in meglio o in peggio, ma sicuramente molte cose sono diverse rispetto al passato.

L’innovazione rispetto ai precedenti passaggi storici è arrivata, non tramite un nuovo oggetto, ma con un radicale ripensamento dei modelli e sistemi che fanno e producono musica, allora possiamo riprendere proprio le parole di Burnham per introdurre il nuovo disco dei Beak>: “Siamo ora in transizione- ricordava l’artista e critico- da una cultura orientata agli oggetti a una cultura orientata ai sistemi. Qui il cambiamento è arrivato, non dalle cose , ma dai processi”.

La transizione ha i suoi vantaggi e la band, che si porta dietro una colonna dei Portishead, ha una parola chiave da gridare in >>>: lentezza.

L’elogio della lentezza, messo su dalla band di Geoff Barrow, è una malinconica e necessaria seduta dallo psicanalista.

Intriso da strani e cupi inni come “Lead Brean Down” o “Where We Fall”, il disco si configura come una pietra angolare per il futuro del magico mondo delle produzioni DIY.

Tutto è illuminato in un lavoro così e anche le atmosfere macabre possono accendersi di una luce profonda, accompagnata da voci ritmate, pedaliere multi-effetto e sintetizzatori che ragliano in nebulose di suoni ispirati alla fantascienza classica, quella di Amazing Stories (per capirci).

La parte elettronica è sempre avvolgente e ricorda esattamente la città di Bristol; in brani come “The Brazilian” possiamo sentire le sfumature delle rispettive esperienze, carriere e i vari vissuti di Barrow, Fuller e Young

Geoff Barrow porta nel disco una struttura ritmica circolare, un eterno ritorno di suoni che traccia dei solchi incredibili, ad esempio in brani come “Abbots Leigh”.

La capacità di sonorizzare un disco come un’opera sonora unica è splendente; in un album così sentiamo i Public Service Broadcasting, le inflessioni post-rock e le avanguardie degli anni ‘70.

Tutto il kraut rock, il noisey o l’avanguardismo imperante però non categorizzano minimamente i Beak> in un filone o in un genere definito.

Il loro essere estremamente anarchici è la garanzia di una ricerca artistica e sonora che oggi ha pochi paragoni: >>> è una perla, e di rarità del genere, ne abbiamo bisogno.

83/100

(Gianluigi Marsibilio)