SANDRO PERRI, “In Another Life” (Constellation Records, 2018)

Si fa presto a dire ambient pop. Non è per niente facile riuscire ad unire un tipo di composizione che gioca sull’ascolto passivo con le melodie e le costruzioni tipiche della canzone pop, ma ogni tanto qualcuno ci riesce. Sandro Perri risponde all’appello.

Il musicista canadese, con già a curriculum diverse uscite in cui ha esplorato le più differenti sonorità, presenta con “In Another Life” un bellissimo esempio di “ipercanzone” con la title track, un brano lungo 24 minuti in cui -banalmente- potrete sentire più volte l’ombra del dio dell’ambient Brian Eno, già evocato nella grafica di copertina ispirata alla serie “Ambient Music”. Il pezzo, dolcissimo, vede la voce calda e sognante di Perri proseguire in una serie potenzialmente infinita di strofe, invocazioni, mantra, sopra ad un tappetone di synth, chitarre elettriche e percussioni con cui il songwriter americano riesce nell’impresa di costruire una serratissima dinamica coinvolgente per l’ascolto nonostante non si scosti mai dalla linea vagamente piatta che rimane linea guida di tutto l’ascolto. Non sarà probabilmente il paradigma di ‘come scrivere una canzone’, ma tanto di cappello a chi, in mezzo a tanti goffi e superflui tentativi di coniugare diversi mondi sonori, ci riesce più che egregiamente.

Dopo quel fluido monolite di “In Another Life”, la seconda parte del disco trova una nuova variazione sul tema canzone, con “Everybody’s Paris”, brano che si sviluppa in tre parti: la prima affidata alla voce di Perri, la seconda ad Andre Ethier ed infine la terza ed ultima a Dan Bejar a.k.a. Destroyer. Anche qui si gioca con le reminescenze del buon vecchio Brian Eno come con il lavoro di David Byrne, dalle sue incursioni elettroniche all’esplorazione delle sonorità africane. Mentre la prima parte rimanda -di parecchio- ai suoni che già abbiamo sentito nell’opening track, lo stacco che ci regala “Everybody’s Paris pt. II” è la vera quadratura del disco, l’apice dell’ascolto di questi 40 minuti di delicatissimo artigianato sonoro, prima della sempre ottima chiusura affidata a Bejar.

Sicuramente “In Another Life” non sarà ricordato tra i dischi rappresentativi del 2018 nè ci presenta modi innovativi di concepire la scrittura musicale o il concetto di album, ma mi sembra giusto e doveroso segnalarlo e premiarlo come un riuscitissimo esempio di songwriting altro. Un ottimo ascolto per la seconda metà dell’anno e con almeno un paio di pezzi destinati a durare.

 

82/100

Matteo Mannocci