Liberato, Barona, Milano, 9 giugno 2018

Al centro dello stage un cerchio di luce che si aziona nel momento giusto, come un richiamo su Gotham City.

Sono le 21.30 e “Liberato canta ancora”, questa volta nella cornice urbana di Barona. Il fungo del Barrios è il luogo ideale per portare delle canzoni legate ad un concetto di live che si incarna e si accende nei riflessi delle luci che sbattono sulle finestre dei palazzoni del quartiere.
Una sagra tanto popolare quanto internazionale, tutte le possibile sfaccettature del popolo (ripetitivo) riescono a unirsi. Dai tipi in borsello anti-stupro, come me, a quelli con il marsupio da Dark Polo Gang.

La luce è il perenne e obbligato alleato dell’anonimato: Il sole scende, dolce, dietro il centro sociale e tutti aspettano Liberato, in una piazza che canta da ore: “Oh Mamà Mamà Mamà, ho visto Maradona”. Lui si presenta con una scaletta già rodata e nonostante alcune incertezze sui testi, che il pubblico copre alla grande, tutto riesce ad essere magnetico, preciso e dosato.
Ovviamente c’è già il complottista di piazza che vede, in questo personaggio, solo una operazione di marketing ben riuscita, ma a noi kalporziani sinceramente delle Converse poco siamo interessati, ad accattivarci sono le canzoni e la genesi di un personaggio, di un’idea.

Il live è interessante perché esalta la parte visuale, in modo diverso da quanto già espresse nei video di Lettieri. C’è uno stacco notevole dalle storie raccontate nelle canzoni e la realtà del live. La differenza non è un male, anzi: brani come “Me Staje Appennenn’” e “Gaiola Portafortuna” trovano una veste più elettronica, dei beat più spinti e graffianti, che ci martellano per alcuni minuti e sono adatti e si sposano perfettamente con il concetto,con  lo spettacolo.
La durata è di poco più di trenta minuti (o giù di lì): noi sappiamo che la particolarità di assistere ad una discesa di Spiderman o accorrere ad un Bat-richiamo è proprio quella di sentirsi in una condizione di stasi tra il credibile e l’incredibile. Liberato e la sua crew hanno giocato su questo, sull’impensabile che diventa possibile. Ogni cosa, veramente tutto ciò che si ha intorno, svanisce. Almeno fino alla fine di “Tu T’e scurdat’ ‘e me”. Ad accompagnare visivamente tutto lo show di Liberato è il duo Quiet Ensemble che ha messo in scena, con il contributo del light designer Martino Cerati, ANTILIGHT: un’opera che come base ha il concetto di luce che oscura.

La forza è nel concetto dell’esibizione, che viene spiegata bene da una frase di Batman: Nella Terra di Nessuno:“I miti perdono potere se non vengono ripetuti. E se non mi vedono. Non parlano di me”.

Il continuo vedere, non vedere; la luce naturale che scende e un laser che spacca la piazza; il palco che si spegne e un cellulare con un flash che illumina le persone davanti, sono parte di un rito.
Il cappuccio è saldo, come una maschera sulle tre teste sul palco, ma la presenza è innegabile e l’Italia ha finalmente trovato il suo Bruce Wayne.

Milano Liberata gioca sul più antico dei passatempi umani: il trovare contraddizioni, perché alla fine sono proprio quelle che ci ricordiamo. Il contrasto di vedere una Milano che canta Napoli o di vedere un pubblico giovanissimo perpetrare una tradizione millenaria come la canzone napoletana.

L’esibizione possiamo comunque considerarla come un’ottima prova generale per il Sonar (Barcellona) e nonostante qualche piccola incertezza su testi e sulla tenuta ritmica, la Barona è stata veramente liberata e conquistata.

È tutto qui: togliere quel cappuccio a Liberato sarebbe semplicemente eliminare un’antinomia, una ricerca, e allora meglio che tutto rimanga pieno di fumo e con le luci soffuse.
Milano e Napoli si sono toccate, come non mai, e anche oggi Liberato Canta Ancora.

(Gianluigi Marsibilio)