Intervista a FOREST SWORDS

In questo weekend Forest Swords torna finalmente in Italia per presentare il suo ultimo lavoro “Compassion”.
Di questo disco davvero complesso e sorprendente, e di molto altro, abbiamo parlato con Matthew Barnes alla vigilia del suo atteso ritorno da queste parti, venerdì 6 ottobre al Locomotiv di Bologna (prevendite), il 7 ottobre al Largo di Roma (link prevendite) e domenica 8 ottobre al Cinema Heart di Napoli (prevendite).

I feel something’s wrong / The panic is on.” dice la voce campionata di Lou Johnson in “Panic”. Credo che “Compassion” abbia una maggiore urgenza narrativa rispetto ai tuoi precedenti lavori. Potrebbe essere perfetto come colonna sonora di qualcosa di sperimentale.

Probabilmente sono stato un po’ influenzato dall’opera di danza “Shrine” e dalla colonna sonora del film “In The Robot Skies” a cui ho lavorato tra “Engravings” e “Compassion”. C’è davvero molto più “spazio” nelle tracce e sono messe in sequenza come degli atti narrativi. Come mai in passato. Ho imparato tanto dalle sonorizzazioni e dalle colonne sonore.

Tra riferimenti alle fake news e allo stato delle cose nel mondo della comunicazione di oggi, esiste un “concept” nella narrazione dietro a “Compassion”? Perché questo titolo?

Non c’è un tema centrale, ma una serie di cose su cui ho fatto le mie riflessioni durante la composizione e la registrazione dei brani. Tutte riguardano l’interazione umana, l’empatia, il contatto. Volevo che il disco avesse un sound “ampio”, ma al tempo stesso accogliente, accessibile, aperto.

Ripensando al tuo percorso sono davvero sorpreso per la coerenza nella tua evoluzione attraverso universi molto distanti se pensiamo ai tuoi esordi “dub”. Ed è davvero sempre più difficile identificare in un genere quello che Forest Swords fa oggi, a partire dalla traccia di apertura, “War It”, per arrivare fino a “Knife Edge” che chiude il disco. Non c’è niente di male, anzi, ma se un amico dovesse chiedermi “Che roba fa nel nuovo disco, Forest Swords”, mi metterebbe davvero in difficoltà. Potrei semplicemente dirgli “Ascolta, non te lo saprei dire”. Te cosa diresti?
Anch’io vado in crisi quando cerco di descrivere questo disco. A volte può essere una buona cosa, altre meno: l’album effettivamente non è incasellabile in alcun genere, che può essere una cosa positiva perché aiuta la gente a scoprire la tua musica e a decifrarla in maniera assolutamente personale e soggettiva. Diciamo che è uno di quegli album che devi ascoltare per capire come decodificarlo e interpretarlo.

Nel disco si alternano strumenti veri e ovviamente sample. Puoi raccontarci com’è stato il processo creativo di “Compassion?”
Lavoro ancora prevalentemente “in the box” sul mio laptop. Occasionalmente ci inserisco degli strumenti veri e propri. “Dagger Paths” ed “Engravings” hanno molte chitarre e bassi. In questo album mi interessava suonare in giro con diverse sonorità: fiati e archi mi davano la sensazione di dare un volto a quest’idea di album accessibile, caloroso e comunque intenso.

Cosa ci si deve aspettare da un tuo live, insomma?
Sto andando in giro con un bassista, io mi occupo di sample ed elettronica. Nella maggior parte delle date abbiamo anche dei visual da me realizzati insieme ad un mio amico che fa il visual artist

Ultimamente molti artisti apparentemente distanti da quel mondo si sono avvicinati al dub e al reggae, un po’ come te. Quanto ti è rimasto di quelle pulsioni e di quelle vibrazioni nella tua ricerca musicale attuale?
Penso che ci sarà sempre quell’influenza. Mi piace il senso di spazio e la gravità della musica dub. Sa essere heavy suonando in determinati spazi, ma in alcuni passaggi è molto semplice, come se non accadesse niente a livello di produzione e struttura del brano. E ciò mi fa davvero impazzire.

Per gusti personali, trovo che l’Inghilterra sia almeno in Europa, se non nel mondo, uno degli epicentri della musica elettronica contemporanea. Molti parlano di Bristol, c’è chi parla ancora di Londra. Pensi che ci sia una città in particolare che detta legge in questo ambito musicale? Esiste ancora una vera e propria scena in UK o sono solo speculazioni di addetti ai lavori e stampa specializzata?
Non credo ci sia un unico epicentro musicale in campo elettronica. La maggior parte della gente direbbe Berlino, ma non necessariamente perché la migliore musica viene da lì. Oggi non c’è più bisogno di essere di stanza in un posto preciso per avere un impatto o fare un lavoro con una certa risonanza. Internet ti mette in contatto con chiunque. Per quanto mi riguarda ho sentito incredibili produzioni elettroniche dall’Iran, dal Ghana e da piccole città britanniche.

A tal proposito, ci suggeriresti una label nuova o un producer poco conosciuto?
Di recente ho pubblicato con la mia label Dense Truth un ottimo lavoro di un producer di Mosca, Zurkas Tepla. La sua roba oscilla tra techno, noise e concrète.

Di recente anche l’Italia si sta facendo strada con alcuni artisti sempre più conosciuti all’estero. C’è qualcuno che ti intriga particolarmente?
Conosco davvero pochi artisti italiani, ma sono molto gasato dall’idea di provare a scoprire qualcosa quando sono da quelle parti. Ho visto i Ninos du Brasil pochi mesi fa e mi sono davvero divertito.

Parlando di promozione ha fatto molto parlare la tua strategia di lancio di uno dei singoli dell’album via Whatsapp. Bastava mandarti un messaggio per ricevere il brano. Com’è andata? Stalker, molestie, stranezze varie?
Per fortuna non è successo niente di simile. L’idea mi è venuta perché iniziavo a stufarmi della promozione via Twitter o Facebook, sempre troppo impersonale. Volevo qualcosa di più diretto e non conoscendo una singola persona che oggi non abbia Whatsapp mi sembrava un’idea divertente da provare. E direi che ha funzionato piuttosto bene.

Dove ti vedi tra dieci anni?
Mi vedo molto adeguato a occuparmi di lavori “scritti”. Colonne sonore di film, danza e teatro contemporanei, e collaborazioni on-off con altri artisti. Non sono il tipo che fa un album dietro l’altro per andare in tour ogni due anni. Sarei felice di provare nuove cose.

Qual è il tuo miglior ricordo legato all’Italia?
Sicuramente Ypsigrock, quello show nel castello è stato davvero uno dei migliori della mia vita.
Mi ha fatto sentire una persona fortunata.