THE BLACK ANGELS, “Death Song” (Partisan, 2017)

Squadra che vince non si cambia: i Black Angels continuano ad avventurarsi nei territori del loro personalissimo neopsych-stoner senza timori di sorta. In realtà l’etichetta è mutata dall’ultimo “Indigo Meadow” (Blue Horizon, 2013), ma non si sente. Evidentemente la Partisan ha lasciato carta bianca al gruppo, che ha mantenuto il suo suono e il suo stile.

E se il sentimento che ci mette la band di Austin è rimasto anch’esso immutato, una leggera flessione – però – è da evidenziare, e riguarda il livello delle composizioni, sceso rispetto a quattro anni fa. Dove il ritmo si mantiene costante (“Currency”, “I’d Kill For Her”, “Hunt Me Down”) non ci sono problemi, qui si riconoscerebbero i Black Angels ad occhi chiusi, mentre quando si fanno spazio le ballads (“Half Believing”, “Estimate”) ecco che qualche arrangiamento più ricercato o qualche inventiva in più a livello di songwriting si sarebbe potuta pretendere.
D’altra parte l’album è riequilibrato dalle songs più prettamente psichedeliche (“Grab as Much (as you can)”, “I Dreamt”), dove il basso la fa da padrone e l’attenzione dell’ascoltatore riesce ad essere canalizzata in un trip indefinito e indefinibile nei “famosi” non-luoghi dei cinque di Austin.

Chiedere di cambiare ai Black Angels è contronatura, purtuttavia dopo questo quinto capitolo forse sarebbe ora di sperimentare qualcosa di leggermente diverso (senza andare dalle parti dei Clinic come in “Medicine”, perché ci sono già i Clinic, appunto). Se così non sarà, ce ne faremo una ragione.

69/100

(Paolo Bardelli)