SOULWAX, “From Deewee” (Play It Again Sam / [PIAS], 2017)

Raccontare l’epopea dei Soulwax non è semplice ma è esaltante: gruppo di Ghent, nel Belgio, sono partiti come una normale rock-band sulla scia dei dEUS (a cui negli anni ’90 aprivano spesso i concerti) e hanno scoperto a poco a poco l’elettronica fino a rimanere folgorati dalla rivoluzione electro di fine ’90 che li fece mettere su il progetto parallelo 2Many Dj’s, con cui hanno girato il mondo più e più volte facendo scatenare sul dancefloor più di una generazione e creando remix degni di questo nome.
Quando i 2Many hanno preso il sopravvento, sul fine degli Anni Zero, i Soulwax come progetto sono andati un po’ in soffitta, complice anche la perdita di qualche componente. Forse però anche per l’esigenza di ritarare il progetto: non hanno mai fatto nulla per caso, i fratelli Dewaele, e perciò è sempre parso che volessero creare qualcosa che veramente lasciasse il segno. Se infatti in “Any Minute Now” (2004) erano ancora ben presenti le chitarre elettriche (usate con grande energia) poi l’interesse si era spostato solo sull’elettronica ma – a ben vedere – intesa come remix. In “Nite Versions” (2005) rimixarono loro stessi, e poi traslarono questo loro progetto anche in concerto (abbiamo già spiegato come). Dopo anni in cui si erano stancati di fare i dj hanno messo in piedi il monumentale progetto “Belgica” (film bellissimo, forse autobiografico) componendo la colonna sonora e suonandola come gruppi immaginari. Pazzi.

Quindi da che parte far evolvere i Soulwax? La risposta odierna di questo “From Deewee” ha tre sfaccettature: la prima è la ritmica. Come fare per coinvolgere se si vuole suonare dell’elettronica in maniera umana? Con tre batterie! L’incontro con l’ex metallaro Igor Cavalera ha portato nuova linfa e si sente che “From Deewee” è stato in larga parte composto ab origine con soluzioni non usuali di batteria.
Il secondo elemento ben presente in “From Deewee” è la reprise dell’elettronica classica, quella tedesca alla Kraftwerk, tanto per intenderci. Molto evidente sia dai suoni scelti (usato, tra gli altri, il modulo Oberheim OB-Mx e un Arp Odyssey) che dallo stile dei titoli.
Infine l’ultima chiave di lettura è da leggersi nella one-take: “From Deewee” è inciso tutto d’un fiato, in unica take come si suol dire, cioé i Soulwax lo hanno suonato ed inciso come se fossero live. Solo loro potevano farlo.

Il risultato è piuttosto esuberante, sia perché si trovano canzoni che dimostrano le mai sopite arti compositive dei belgi, come in “My Tired Eyes” (debitrice dei Depeche Mode, a dire il vero) o in “Trespassers”, dove la linea melodica per semitoni far riemergere i primi fasti dei Soulwax-Anni90, sia perché la batteria di Cavalera e degli altri tre batteristi (Victoria Smith, Blake Davies e Laima Leyton, sono in quattro ma a quanto pare suonano contemporaneamente solo tre) è davvero colonna portante e non solo semplice ritmo.
I riff sono azzeccati (“Masterplanned”, “Missing Wires”), gli arpeggiatori pure (“Preset Tense”, “Is It Always Binary”), dunque, cosa manca?
Niente. I Soulwax sono riusciti nell’arduo compito di fotografare al meglio la loro energia anche se gli anni passano pure per loro, e peccato solo che manchi un singolo riconoscibile che avrebbe potuto riportarli molto di più sotto i riflettori.
In realtà succederà che anche “From Deewee” verrà snobbato dai più e poi ci ritroveremo fra qualche anno – quando nessuno riuscirà a spremere sensazioni nuove dall’elettronica e i Soulwax magari si faranno risucchiare dai 2Many Dj’s – a rimpiangere la modalità tanto artigianale quanto tremendamente artistica dei Soulwax di usare i bit.
God save the machines, se sono i Soulwax ad usarle.

79/100

(Paolo Bardelli)

foto in home di Rob Walbers