Sophia, Radar, Aarhus (DK), 7 Marzo 2017

La versione in inglese di questo articolo la potete trovare a questo link.

Immaginatevi un locale ricavato in un angolo di un vecchio scalo merci ferroviario, una manciata di persone che lasciano metri di vuoto tra loro e il palco ed eccovi lo scenario per il concerto dei Sophia ad Aarhus, un concerto che personalmente ho aspettato per dieci anni, sabotata da coincidenze ed eventi della vita che non mi hanno permesso per così tanto tempo di rivivere le emozioni della musica di Robin Proper-Sheppard suonata (anche) per me dal vivo.

La prima parte del concerto è tutta dedicata al nuovo album uscito lo scorso anno, “As we make our way (Unknown harbour)”, suonato da cima a fondo. Le atmosfere sono tipicamente à la Sophia, malinconiche ed introspettive ma in qualche modo meno cupe, forse i ritmi più sostenuti della batteria, bassi che a tratti ricordano riff degli Interpol, o i crescendo di brani come “Resisting”, fanno si che quando si arriva alla solarità di “California” non ci si trovi spaesati a chiedersi “e questa, da dove salta fuori?!”.

Conclusa “It’s easy to be lonely” è come se finalmente fosse finita la parte istituzionale del concerto, cala quel velo che separa il palco dalla sala e inizia l’interazione col pubblico – dopotutto saremo si e no una sessantina: mi dispiace davvero tanto, Robin, che non ci siano più persone ad apprezzare la tua arte – qualche battuta e ci si tuffa nel repertorio del gruppo.

Qualcuno dalla prima fila vince la timidezza e chiede “So slow”: subito accontentato! Un’interpretazione che ancora adesso a ripensarci toglie il fiato e attorciglia lo stomaco per la sua intensità emotiva.
Subito a seguire c’è “I Left You” e finito di suonare Proper-Sheppard si scusa con il pubblico per essersi incasinato con il testo, ma, spiega, è una canzone scritta per la madre della figlia e ogni tanto ancora viene sopraffatto dalle emozioni di quando la scrisse: non c’erano più il pubblico, il palco, lo show, ma soltanto emozioni e fantasmi. Vedere tanta autenticità è qualcosa che si apprezza sempre.

Dopo la doverosa “Oh my love”, il concerto volge al termine con quella che viene annunciata come “trilogy of rock” e tutto lo spleen vissuto finora è cauterizzato da un crescendo di potenza sonora.

È il momento di salutarci di nuovo, porto a casa sotto alla pelle delle emozioni che non svaniranno facilmente, con la speranza che non passino altri dieci anni prima di riviverle ancora.

(Francesca Garattoni)


Scaletta:

(intro) Unknown Harbours
Resisting
The Drifter
Don’t Ask
Blame
California
The Hustle
You Say It’s Alright
Baby, Hold On
It’s Easy To Be Lonely
So Slow
If Only
I Left You
Bastards
Ship In The Sand
Oh My Love
Desert Song No. 2
Darkness (Another Shade In Your Black)
The River Song