D.D. DUMBO, “Utopia Defeated” (4AD, 2016)

57b33519751cfDi future next big thing esplose su Bandcamp ormai ne contiamo una al mese, se vogliamo essere tipi selettivi. E nonostante molte, moltissime, finiscano per essere dimenticate nel giro di qualche settimana, qualcuna esplode davvero. D.D Dumbo, ovvero il giovane Oliver Hugh Perry, ha tutto ciò che serve per farlo.
Originario di Castlemaine, piccola cittadina posta al sud dell’Australia conosciuta soltanto dai cercatori d’oro dell’Ottocento, Perry è un capace multistrumentista, a suo agio con il fascino e le necessità del do it yourself: il primo EP “Tropical Oceans”, uscito nel 2013, totalmente autoprodotto e composto da cinque sole canzoni, ha da subito attirato l’attenzione di migliaia di frequentatori della Bandcamp-sfera. Da lì in poi per D.D. Dumbo è cambiato tutto: si è fatto parecchio le ossa, salendo su palchi importanti come quello del Primavera Sound, Latitude Festival, del SXSW, ma doprattutto del Pitchfork Festival parigino; ha ottenuto endorsement importanti, come quello di Warpaint, Jungle, St Vincent e Tame Impala; e infine ha firmato per 4AD, che è una specie di garanzia di qualità. Proprio per la label inglese pubblica questo primo ispirato album d’esordio, “Utopia Defeated”.

Ad aprire il disco è “Walrus”, una traccia che, come scopriremo soltanto a disco concluso, ha il pregio di condensare in tre minuti e poco più le diverse influenze e sfumature del sound di D.D Dumbo: il folk, come terreno di partenza; le sperimentazioni con l’elettronica; la chitarra elettrica dalle sfumature blues e desert; arrangiamenti e linee melodiche rotonde e morbide che si esprimono al meglio quando sfociano nel pop; un’estensione e un dinamismo vocale, che fanno più di una volta pensare a Sting. Un mix reso ancora più ricco da “Satan”, il brano seguente, in cui compaiono anche percussioni dai toni esotici, un po’ simili a quelli di “Once In A Lifetime” dei Talking Heads.
D.D. Dumbo si dimostra insomma parecchio a suo agio nel modellare a piacimento il suo sound, sconfinando ora nel folk acustico (“In The Water”), ora nel pop anni ’80 stile Police (“Cortisol”), ora o in derive tribali-afrikaans (“Alihuke”), ora in composizioni à la Devo (“Brother”).

Se il disco si esaurisse con le canzoni citate, saremmo davanti ad un esordio capace di convincerci del tutto. Purtroppo però non è così, e sul finale ci accorgiamo di patirne un po’ la lunghezza e la ripetitività delle formule. “The Day I First Found God”, “Toxic City” e “Oyster” finiscono infatti per stemperare l’iniziale entusiasmo con soluzioni che non certo si distinguono per originalità: siamo dalle parti di quelle melodie faciline tanto amate dagli sceneggiatori delle serie tv sdolcinate, tanto per intenderci.

Ma sono comunque piccoli errori su cui siamo disposti a soprassedere, perchè complessivamente “Utopia Defeated” riesce ad essere esattamente quello che voleva, e cioè un buon disco pop. La sostanza dunque c’è, e col tempo D.D Dumbo imparerà a limare anche questo tipo di imperfezioni.

71/100

(Enrico Stradi)