Cat Power, Teatro Verdi, Acieloaperto, Cesena, 6 Settembre 2016

img_20160906_233813 Un martedì atipico e temporalesco di questa estate 2016 segna il ritorno di Cat Power in Italia, con lo slittamento (deciso nel primo pomeriggio) in una location intima e raccolta come il Teatro Verdi di Cesena al posto della Rocca Malatestiana: ergo, purtroppo vengono a saltare gli artisti in programma e tra questi la nostra promessa Jester At Work. Quasi non ci se ne accorge, grazie all’ottimo dj set targato Radio Melody che ci fa arrivare all’orario di inizio fissato alle 22, ribadendo l’impeccabile organizzazione a prova di emergenza degli staff romagnoli dietro a Acieloaperto.

Chan Marshall appare emozionata, quasi intimidita dalla “bolgia” creatasi in un teatro pieno anche nelle due logge superiori. Il pubblico è carico e non farà mancare per tutta la durata del concerto gli applausi, sia di lode che di incoraggiamento – quando microfono e monitor del pianoforte la costringono ad interrompere uno dei brani, giustificando un minimo senso di nervosismo e rassegnazione: piccole inezie collocate in un flusso di musica ed emozioni folk a tinte blues, lungo oltre una ventina di canzoni tra chitarra elettrica e tastiere.

Si parte con la sei corde e le fantastiche interpretazioni di “Fool”, “Hate” e “Great Expectations”. Dieci anni di carriera, da “Myra Lee” fino a “The Greatest”, in tre gioielli di cantautorato, intramezzati da echi di Dylan (“Knockin’ On Heaven’s Door”) e Rolling Stones (“Satisfaction”). Non saranno gli unici snippets celebri: Cat Power tira fuori senza soluzione di continuità pure Nirvana, Moby Grape, Ray Charles, Mr Depression Hank Williams e i Cure di “Just Like Heaven”, in una veste sporca e irripetibile à la Neil Young di primi anni novanta.

Se da una parte l’ultimo Sun è rappresentato unicamente dal piano-rap “3 6 9”, dall’altra i brani estratti dal capolavoro del 2003 “You Are Free” scendono giù dal palco copiosi, tra l’osannata “I Don’t Blame You” e la celeberrima preghiera di “Good Woman”, fatte di accordi semplici e insieme liberatori dove la voce di Cat Power è protagonista indiscussa. Anche “Maybe Not” e “Werewolf” prima dell’intoppo citato sopra, risolto alla chitarra (e con il sorriso in volto) nella doppietta da paura “The Moon”/”Metal Heart”: in sintesi la poetica della cantante di Atlanta e della sua esistenza tanto legata alle separazioni, prima dei genitori e poi da Bill Callahan a Daniel Cury a Giovanni Ribisi, quanto segnata dalla depressione, per la dipendenza da alcool e i numerosi ricoveri ospedalieri. Con una luce in fondo al tunnel, la recente maternità.

La gente accorsa al Verdi conosce la sua storia e si perde in canzoni fragili quali “Names” e a volte irriconoscibili come una “Can I Get A Witness” di Marvin Gaye eseguita alla fine di un concerto forse discontinuo ma assolutamente sincero. Se ne va sulla melodia di un piccolo canto a cappella con cui saluta Cesena, che vorremmo dedicato al figlio – o a tutti noi che ne abbiamo apprezzato l’opera e speriamo non sia finita qui.

(Matteo Maioli)

12 Settembre 2016