Intervista ai Niagara

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A fine aprile di quest’anno è uscito “Hyperocean”, terzo disco dei Niagara, sempre su Monotreme Records, etichetta londinese con un’impronta sperimentale, tra post-rock ed elettronica. Il lavoro della band, concept album sull’acqua, riconferma la vena creativa del duo torinese, autori di una psych-tronica sempre più fantasiosa e che negli ultimi mesi sta trovando spazio sui palchi di tutt’Italia. La data del 26 agosto al Todays Festival, però, si prospetta come un evento speciale da non perdere: la città di Torino è un po’ l’inizio del tutto e sarà quindi lecito aspettarsi un’atmosfera particolare, diversa dagli altri concerti. Per saperne di più sul mondo sonoro targato Niagara abbiamo scambiato qualche parola con i diretti interessati: Gabriele Ottino e Davide Tomat.

“Hyperocean”, il vostro ultimo disco, ha come tema centrale l’acqua. Però, già da tempo, avevate in mente di fare un disco sull’acqua. Sbaglio? Qual è stata la spinta/svolta creativa che vi ha, finalmente, portato a dar vita virtuale al pianeta d’acqua “Hyperocean”?
Gabriele: Più che svolta è stato un ritorno all’origine concettuale alla base del progetto Niagara. Verso il mare, siamo partiti dalla sorgente, volati giù per le cascate fino a ricongiungerci con l oceano. Magari nel prossimo disco evaporeremo.
Sembra che la vostra musica si muova per immagini e concetti: i pezzi si sviluppano per fotogrammi di diversa cromatura in un’ambientazione immaginaria, immaginifica e virtuale che però si fa in un certo senso reale. È una percezione sbagliata?
Davide: Generalmente partiamo da suggestioni e immagini astratte. Ci basta un suono, un pad, una ritmica per iniziare ad immaginare una concatenazione di altri suoni ed eventi musicali che pian piano delineano delle immagini e dei percorsi nella nostra fantasia. Spesso lavorandoci ci rendiamo conto che stiamo inconsciamente seguendo una direzione emotiva o immaginifica mentre altre volte forziamo la mano e cerchiamo di muoverci nella direzione prescelta. In ogni caso per dare un senso ad ogni traccia abbiamo bisogno di capire da dove siamo partiti e dove volgiamo arrivare: un po’ come se fosse un viaggio, con spazio per improvvisare e lasciarsi trasportare dagli eventi e dal caos, ma con in mente in qualche modo chiaro il punto di arrivo. Una volta finita la traccia la osserviamo un po’ come si osservano i puntini su una mappa e unendoli prendiamo coscienza del viaggio.
Sia su disco che dal vivo la vostra musica è psichedelica, una psichedelia che naturalmente è post-moderna: non analogica ma che nella suo essere digitale produce scenari lisergici, plurisensoriali. Sbaglio?
Gabriele: Non sbagli affatto. Credo che sia l’elemento di connessione tra tutte le mie differenti influenze musicali. Ho da sempre avuto un’attrazione incontrollabile per tutte le diverse facce della cultura psichedelica. Da bambino passavo ore a guardare il caleidoscopio o i libri 3D. Crescendo ho trovato altri modi per ingannare la percezione ordinaria, per spostare il mio pensiero in un campo inutile alla sopravvivenza del corpo, per cercare di essere più vicino al sole. La musica è sicuramente uno degli strumenti più efficaci.
“Hyperocean” è un disco sull’acqua e d’acqua: avete campionato l’acqua registrando tramite idrofono l’acqua in piscina, nel mare di Calabria e in una bacinella con ghiaccio. Come vi è venuta l’idea?
Davide: Siamo molto legati ai suoni reali, ai suoni acustici, ai suoni di strumenti classici e ai rumori ambientali, insomma un po’ tutto ciò che produce suono ci piace ed è sempre difficile decidere cosa lasciare da parte. Per questo disco insieme a Maurizio Borgna, che ci ha ospitato nel suo studio a Berlino e che ha mixato il disco, abbiamo deciso di non introdurre strumenti acustici e di lavorare solo con la sintesi e di concederci di registrare solo percussioni e voci acustiche. Allo stesso modo abbiamo deciso di lasciar da parte field recording, a patto che non fosse materiale subacquea. Così, al posto di ukulele, chitarre, archi, fiati ecc… , armati di idrofoni abbiamo deciso di registrare l’acqua, che è anche l’elemento costitutivo del concept del disco. In fase di produzione i suoni acustici (voci, percussioni e acqua) sono starti raffreddati, al fine di essere avvicinati ai suoni sintetici, mentre i suoni sintetici sono stati scaldati per essere più organici. Insomma una ricerca di equilibrio delle parti.
Avete un vostro studio al “Superbudda” (di cui Davide è socio e fondatore) , luogo che è un vero e proprio collettivo artistico ospitando iniziative creative di varie tipo, come ad esempio le ORS (open recording sessions), sessioni di registrazioni aperte al pubblico. Quanto è importante per voi avere uno spazio – tra l’altro così aperto – dove poter scrivere e sperimentare?
Gabriele:È importantissimo. È una specie di zona franca all’ interno della quale si producono opere artistiche svincolate in produzione da logiche di mercato. È la tana che cerchiamo di tenere pulita per avere la massima libertà creativa al momento della produzione di nuovi lavori. Anche il fatto di ospitare artisti con una simile volontà ci permette di avere uno scambio artistico ed energetico che continua ad alimentare il collettivo.
Esiste una forte compenetrazione tra la vostra musica e i vostro video: la parte visiva si muove di pari passo a quella musicale. È così? Ad esempio il video di “Hyperocean” , realizzato insieme a Cy Tone, è un visuale a 360 gradi dentro il pianeta di “Hyperocean”.
Gabriele: La maggior parte dei nostri videoclip li ho curati io stesso quindi la compenetrazione è inevitabile. Con Cytone in realtà abbiamo cercato di andare oltre l’idea di videoclip creando grazie a lui una versione di Hyperocean in grafica 3D ed andandoci a girare virtualmente in un secondo momento il videoclip dentro.
Torino e Berlino: la prima è la città in cui vivete; la seconda è la città in cui avete registrato e prodotto “Don’t take it personally” e “Hyperocean”. Due città diverse? O simili? Pro e contro di entrambe.
Gabriele: A Berlino non ci fanno mai entrare nei locali mentre a Torino ci fanno entrare ma i locali a parte qualche eccezione non sono il massimo. A Torino c’e il Superbudda ma non c’e Maurizio Borgna, a Berlino c’e Maurizio Borgna ma non c’e il Superbudda.
Recentemente Deakin (Animal Collective) ha fatto il remix di “Hyperocean” (il brano). Ed in passato Acid Pauli (The Notwist), Gonjasufi ed altri hanno remixato vostri pezzi, è uscito pure la versione remix di “Don’t take it personally”. Che rapporto avete con i remix dei vostri brani?
Gabriele: Abbiamo un ottimo rapporto. Sono dei grandi doni fatti da artisti che stimiamo molto artisticamente. Quello di deakin in particolare per me è stato un bel regalo. Anche fennesz, liars (che non hai citato) sono stati incredibili sorprese.
In “Don’t take it personally” è presente il pezzo “John Barrett” e “Hyperocean” contiene il brano “Roger Water” (senza s). Queste due tracce giocano in qualche modo con i nomi e cognomi dei due Pink Floyd? O “John Barrett” si riferisce al tennista (e non a Syd Barrett)?
Gabriele: Sì, hai trovato un nonsense che in realtà ha un’ origine. Syd Barrett /John Lennon / Roger Waters. Diciamo che sono in un certo senso i nostri padri musicali. Una specie di omaggio nascosto.
Quest’estate siete in giro per l’Italia a suonare . Questo tour di “Hyperocean” come sta andando? Secondo voi siete riusciti a riprodurre dal vivo il mondo subacqueo del vostro disco
Gabriele: Sta andando molto bene. Mentre rispondo alle tue domande siamo in furgone in viaggio verso Vibo Valentia ospiti del frac festival mentre ieri eravamo a Pesaro dalla Cira.
Il live sembra suonare molto simile al disco ma questo dovresti dirmelo tu.

(Monica Mazzoli)