THOMAS COHEN, “Bloom Forever” (Stolen Recordings /PIAS, 2016)

thomas_cohen-bloomPurtroppo non si può non partire da lì, perché la musica si incrocia sempre con la vita (quella degli artisti e la nostra di ascoltatori): Thomas Cohen è il vedovo di Peaches Geldof, ed è da 2 anni che si occupa da papà-single delle due figlie Astala e Phaedra. E in questo quadro la cosa più impressionante è che il suo debut-album da solista non è per niente malinconico o disperato: è un magnifico, splendido inno alla vita, alla ricerca di una serenità che forse si può trovare solo lì (nella musica e nei figli). Un disco davvero bello, e se per un attimo si pensa a quello che c’è dietro vengono quasi i lacrimoni agli occhi. Perché “Bloom Forever” dev’essere stato catartico per il bel Thomas, fin dal titolo che è tutto un programma.

Ma sono i riferimenti sottesi a fare di questo debutto un disco colto, senza tempo, che mischia il britpop più etereo al migliore cantautorato storico inglese senza soffermarsi in decenni particolari. “Bloom Forever” dunque potrebbe essere un disco degli Smiths negli anni ’80, uno di Badly Drawn Boy negli anni Zero, una prova degli Smith Westerns negli anni ’10 tanto quanto un album dei Suede nei ’90 o di Van Morrison nei ’70. Tutto si tiene, nulla si perde.

E lasciare che le tracce scivolino via una dopo l’altra è un piacere immenso perché “Bloom Forever” è una aranciata fresca da bersi tutta d’un fiato. Gli andamenti sono adagiati e padroneggiati dall’intersezione tra chitarre elettriche, acustiche e pianoforti, anche se a Cohen non dispiace anche creare diversivi più sonici, come ad esempio a metà di “Honeymoon”. I ritornelli sono killer, in particolare quelli di “Ain’t Gonna Be Your Rain”, “New Morning Comes” e del singolo “Hazy Shades”, le sonorità molto coese nel susseguirsi delle songs, unite da quel particolare gusto che solo un album riuscitissimo può trasmettere. Con la menzione altissima finale di “Mother Mary”, di una bellezza più da epica preghiera che di canzone.

Attenzione, un disco come “Bloom Forever” è rarissimo, e sarebbe imperdonabile perdersi la sua contemporaneità. La mia valutazione è che possa, nel tempo, essere visto come un “Grace” estemporaneo, ma la sua diffusione dipende in effetti da tanti fattori che qui, ed oggi, non possiamo conoscere. Quello che è certo è che rappresenta in maniera straordinaria un picco altissimo di cantautorato folk-pop che, al di là dei riconoscimenti che verranno oppure no, rimarrà scolpito nei cuori di chi ha avuto l’attenzione di scoprirlo.

91/100

(Paolo Bardelli)