TAMARYN, “Cranekiss” (Mexican Summer, 2015)

tamaryn-cranekissCambio di rotta per Tamaryn. La meta non è più quella del revival shoegaze che aveva solcato le onde di “The Waves” e “Tender New Signs”. Laddove la stella polare degli Slowdive irradiava i sentieri dei primi due album, tocca ora a quella degli scozzesi Cocteau Twins risplendere e tratteggiare il percorso di “Cranekiss”: lavoro elegante e di pregevole fattura, ma pur sempre brillante di luce riflessa.

Forse troppa. C’è quella strobosferica dei dancefloor, basti pensare alla potenziale hit “Hands All Over Me”; alla quale fanno seguito le consuete atmosfere trasognate e trasognanti di “Keep Calling Me”, dolce nenia assorta nel cuore del disco (e che merita ben più di un ascolto).
Basterebbero queste due tracce a riassumere le coordinate di “Cranekiss”: carosello dei sogni che abbraccia una moltitudine di stili e generi diversi ben incastrati tra loro; tra estroversioni da classifica e introversioni dream-gaze, tra artifici synth e tenui sfumature dark; il tutto veicolato da un’estetica fortemente anni ’80 e dalla soffice ed evocativa voce di Tamaryn.

Un lavoro pregevole, in grado di attrarre diversi tipi di pubblico: da quello mainstream di Madonna a quello new-wave nostalgico di Cure e Siouxsie; ma anche quello di Julee Cruise e This Mortal Coil; per solleticare infine il palato dei listeners più giovani, quelli del calderone synth e dream-pop odierno: di Chvrches e Beach House, tanto per intenderci.
Un lavoro che non disegnerà nuovi orizzonti – del resto lo sapevamo – ma che riesce comunque a trasportare ed emozionare. Quello che ci si aspettava da Tamaryn insomma: nè più nè meno.

65/100

Fabio Viganò