COTILLON, “Cotillon” (Burger Records, 2015)

cotillons_t1-513x495Credo che quando Jordan Corso si è dato il nome di Cotillon, non avesse la minima idea di quanto poi sarebbe stato difficile trovarlo sui motori di ricerca.
Alla fine il disco è arrivato.
Dopo un Ep autoprodotto e una lunga serie di concerti, coinvolgendo membri (il produttore è Chet “JR” White) ed ex membri di GIRLS, nonché Giarrett Goddard, il batterista di King Tuff, Cotillon arriva al primo lavoro omonimo.
L’album, con l’attitudine del lavoro low-fi, mantiene lo stile germinale di Corso che spazia tra generi, saltellando con noncuranza tra argomenti e atteggiamenti.

“Cotillon” si apre con una fresca ventata di pop da cameretta, ideale nei passaggi catchy per i gingle pubblicitari, e pezzi come “Gloom” ti rimangono subito in testa.
Poi i colori dei primi brani iniziano a virare su suoni più nervosi che diventano quasi cupi, senza arrivare al nero di “Disintegration” (in riferimento alla chitarra che un po’ lo ricorda), ma avvicinandosi, sfuggevoli, ad un grigio scuro (“Before”).
Ancora si risale di “tono” con ballatine alla Spinto Band degli Ep, che partivano quasi acustici per poi caricare chitarre e voce e alla fine trotterellare fino alla fine dei pezzi.

La parte centrale del disco inizia a stentare un po’. Offre ancora (s)punti d’appiglio (“Lyman”), ma risulta decisamente meno accattivante della prima metà. Ritornano il pop da cameretta, l’accennato wave, ma siamo alla quasi ripetitività.

Con “Infection” si alzano i volumi e ti risvegli giusto un attimo per riplanare tra le rime di una tenera ballata, “Exempt”, che ti porta alla fine del disco. Un bel momento però.

59/100

(Elisabetta De Ruvo)

24 marzo 2015