MY BLOODY VALENTINE, “mbv” (self-released, 2013)

“Dove eravate la notte del 3 febbraio?”. Quel momento, per quanto preannunciato per molti resterà scolpito nella mente come “quel martedì dell’11/9/2001”. Nell’anno 22 dopo “Loveless” è successo ciò che molti aspettavano da troppo tempo e che molti altri speravano non sarebbe mai successo.

Nell’anno 0 d.L. non si sgretolava soltanto l’equilibrio bipolare della guerra fredda, ma si sgretolava definitivamente il rock, dopo il breve rigurgito sotterraneo della seconda metà degli Eighties. “Nevermind” è l’emblema e il sintomo più celebre, “Screamadelica” l’esempio più controverso di un nuovo inizio verso altri territori. C’erano diversi capolavori “minori” testimoni e complici della fine: Swans, Codeine, Talk Talk, Mercury Rev, gli Slowdive d’esordio e soprattutto “Spiderland” degli Slint.

Ma tra questi solo “Loveless” riusciva senza rinunciare agli strumenti tradizionali del rock a trascendere tempo, spazio e genere e a risultare comunque POP. Un’opera monumentale che non poteva avere un seguito. Pretendere da “mbv” lo stesso stravolgimento è inutile e ingenuo. Non solo 22 anni fa Kevin Shields, Colm Ó Cíosóig Debbie Googe e Bilinda Butcher avevano 22 anni in meno. 22 anni fa non c’era l’ascolto usa e getta di centinaia di giga di cartelle mp3. Non c’era l’immediata disponibilità di migliaia di recensioni, link, commenti, blog per farsi guidare, indirizzare, traviare. 22 anni fa le sonorità della band non avevano ispirato e influenzato centinaia di produzioni successive dai generi più disparati che le hanno rese comuni, mortali, e a volte inflazionate.

Ma non si è più nell’anno zero o negli anni precedenti. Così i nove brani, in pieno spirito del tempo arrivano su youtube come un qualsiasi stupido video virale. Tant’è che, al di là di ogni excursus e onanismo intellettuale, quando le chitarre “che solo loro” dell’introduttiva “She Found Now” si propagano nell’aria, il fiato si spegne e il cuore si ferma.

La flebile voce di Shields la dipinge come un volto efebico di “Sometimes”. Come “Who Sees You” lo è di “Come In Alone”. Con la stridente “Only Tomorrow” che si insinua ammaliante tra le due, sembra veramente di essere risucchiati persi tra i riverberi fino a quell’anno zero. La voce della Butcher strega e avvolge, il sound “quiet loudest” è sempre quello e nulla sembra essere cambiato dal 1991. Brutalmente in “Is This And Yes” si scivola negli abissi, le chitarre si dissolvono del tutto e resta una spettrale liturgia femminile. Assolutamente anomala e “nuova”.

Non è un’illusione. Scorrendo in avanti, “mbv” assume un respiro più contemporaneo, si sgancia da “Loveless” e i My Bloody Valentine finiscono paradossalmente per somigliare a band posteriori che senza di loro non sarebbero mai nate. O comunque influenzate (vedi B di Broadcast e di Beach House) “If I Am” può scacciare il paradosso, solo perché dal primo impatto può suonare come una “Soon” col freno a mano. È il momento più pop, forse l’unico di pseudo-pop e le frustate da My Bloody Valentine degli albori di “In Another Way” lo sconfessano subito con tutta la dissonanza del caso. Eppoi addirittura l’hardcore, con l’isteria strumentale, ossessiva, incessante di “Nothing Is”. La centrifuga interstellare di “Wonder 2” è al tempo stesso terrena e ultraterrena, algida e infuocata, forte e piana. Potrebbe appartenere all’ormai remoto anno domini 1991, come al 2001, al 2021 o al 2091.

Sono in parte fugati motivati dubbi sul fatto che “mbv” sia un disco di outtake di “Loveless” modellati in due decenni a sua immagine e somiglianza da Kevin Shields. Ammesso, poi, che queste speculazioni davanti a un disco del genere, interessino, contino veramente qualcosa o abbiano un benché minimo senso.

Perché i My Bloody Valentine trascendono. Sic.

91/100

(Piero Merola)

7 Febbraio 2013

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