Intervista ai Bachi da Pietra

“Quin” come quinto album e “tale” come racconto. Un Giambeppe Succi in grande forma inizia smontando il titolo dell’album, perché “Quintale” è in realtà il più leggero dei loro lavori. Un disco di paradossi, frutto di una metamorfosi dolorosa, registrato per scelta (di Giulio Ragno Favero) completamente in analogico, “alla vecchia”. È un rock scarno e viscerale quello dei Bachi da Pietra, pieno di riferimenti letterari, a patto che ci si metta d’accordo su cosa significa “letteratura”. Succi – voce, chitarra e autore dei testi – ha le idee molto chiare a riguardo. E una zia che darà del filo da torcere agli ermeneuti del futuro.

Iniziamo dal titolo del vostro quinto album, “Quintale”: biglietto da visita appropriato per la pesantezza di suoni e temi! Sarebbe però interessante sentire dalle vostre vive voci cosa significa il titolo, cosa rappresenta.
Quinto album in studio, quin-tale. Un titolo facile facile per noi da ricordare. Storie raccontate (-tale, narrazione in inglese). Cento chili, un peso tutto sommato umano. Per un insetto è un bel po’, certo, anche per due. Sembra il più pesante e forse invece è il più leggero dei nostri dischi. Però è costato molta più fatica farlo, perché una metamorfosi non è indolore. Un disco dei paradossi. Come il concetto di peso che è così relativo: io faccio fatica a reggere certa musica leggera, ma è chiaramente un problema mio.

Avete messo una cura “suprema” nel registrare il disco completamente in analogico. L’intenzione estetica di evitare accuratamente il trattamento digitale è evidente. Perché questa scelta e quanto ha influito nella qualità del sound e nella potenza dei concetti espressi in “Quintale”?
Noi evitiamo accuratamente solo le cose che ci sembrano molto brutte, il digitale non è il male assoluto. Non dipingerci come dei puristi, non lo siamo. A questo giro abbiamo fatto tutto in analogico, è questione di scelte. Sono due metodi con dei limiti e dei pregi entrambi. Abbiamo sempre avuto la fortuna di avere il supporto e la collaborazione dei migliori professionisti del suono in Italia e anche questa volta ci è andata di lusso, con Giulio Ragno Favero, che ha scelto l’analogico 100% e noi gli siamo andati dietro. Ne siamo usciti male… Giulio ha questa dipendenza da nastri e ci ha tirati dentro fino al collo. Ogni quarto d’ora è lì che ti dice “…dai, alla vecchia, lo facciamo alla vecchia!” e ha già il dito su REC. Come fai a dirgli di no. Ci ha plagiati completamente e trascinati nel suo vortice. Ne usciremo, spero. Ma non subito.

Come è stato lavorare a “Quintale”, album contemporaneamente scarno e viscerale, brutale e sofferto? Quanto del vostro stato d’animo è stato riversato nei testi e nella musica?
Pochissimo, il nostro stato d’animo era a zonzo mentre validissimi turnisti turchi scrivevano i pezzi e li incidevano con un occhio alle soluzioni più amate dal pubblico di X Factor.

Avete realizzato un lavoro dalla narrazione raggelata. Cosa pensate del fatto che il rock (hard, metal, stoner, black blues) scarnificato all’osso, trattato inoltre analogicamente, possa essere il genere più appropriato per narrare senza fronzoli questo grave momento di declino?
Nel rock un po’ di rovina è la morte sua. Ma ti riferisci a noi o all’Italia? Declino evidente in entrambi i casi, ma in entrambi i casi è ancora una volta una questione di scelte. Come la scelta del protagonista di “Haiti”: non è caduto, è sceso lentamente, consapevolmente verso la propria rovina, gesto dopo gesto, giorno dopo giorno, rinvio dopo rinvio. Era un uomo di talento, accuratamente sprecato. Quanto a noi saremo in declino evidente, ma non credo che abbiamo raggelato la narrazione, se no stavamo zitti. Se c’è gelo, c’è immobilismo e se non c’è movimento non c’è narrazione. A me la nostra narrazione pare invece abbastanza calda, si muove, quindi forse è lontana dal rigore del gelo.

E a proposito di trattamento analogico… l’album è stato registrato e mixato da Giulio Favero con il quale condividete affinità musicali, che sono anche affinità di intento. Come si è sviluppata la vostra collaborazione, in cosa il suo intervento ha fatto la differenza?
Il suo intervento è stato straordinario. Va detto però che ci minacciò qualche anno fa incrociandoci sulla soglia del bar Fargo a Ravenna: “…se non facciamo un disco insieme vi denuncio”. Aveva lo sguardo cattivo. Prima che succedesse un casino e partisse la querela (…famigerati pool di avvocati della Tempesta Dischi, eletti in Parlamento per sfornare leggi comode a Favero, Molteni e compagnia cantando; si dice si aggirino guardinghi sul web a caccia di bimbiminchia da querelare in caso di blanda critica ai dischi della Tempesta…), prima che succedesse un casino insomma, abbiamo ritenuto che era il caso di fargli uno squillo e dirgli, ok Giulio dai, facciamo ‘sto disco.

In “Quintale” troviamo anche la collaborazione di Arrington De Dionyso al sax in alcuni brani (“Enigma”, “Paolo il Tarlo”, “Ma anche no”). A mio modesto parere questa collaborazione si è rivelata essere l’apporto sottile di una psicologia del dolore, spezzato e schizofrenico, espressivo nella “petrosità” dell’album. Come è nato il vostro incontro?
Arrington è fan dei Bachi da tempo, la stima è reciproca e ci eravamo prospettati diverse volte l’ipotesi di una collaborazione, così a questo giro l’abbiamo coinvolto. Ci ha fornito ottimo materiale e carta bianca e noi l’abbiamo usata tutta. Abbiamo poi brindato con uno spumante metodo classico Valentino Brut Zero Rocche Dei Manzoni che consiglio a tutti, ottimo rimedio (momentaneo) al dolore e alla schizofrenia.

Citavamo prima alcuni titoli. Ascoltando i testi si avvertono reminiscenze letterarie di varia origine… è possibile fare un riferimento preciso?
Possibile eccome, sarebbe anche interessante. Ma prima sarebbe utile capire cosa si intenda qui col termine letterario che vedo ricorrente anche nella tua recensione al disco. Letterario è un aggettivo che può significare tutto e niente. Gli aggettivi non sono come dire marca e modello di un prodotto, che quindi è quello, ci siamo capiti. Purtroppo no, non ci siamo capiti: se diciamo solo letterario, in questo contesto, possiamo fare finta di esserci capiti ma ognuno ha capito una cosa diversa. La mia visione di letteratura è ampia: …qualsiasi traccia umana lasciata nel tempo su un qualsiasi supporto. Quindi anche le mie tracce in “Quintale” sono letteratura, certo. Lo stile poi è ancora un’altra cosa. Uno stile anti-letterario è frutto di un lungo e laborioso percorso (letterario) di ricerca: …Aretino, Ruzante, Cervantes, Rabelais, Goldoni, Belli, Gadda, Pavese, Hamingway, Celine, Bukowsky, Tom Waits… Persino Montale suonava meno letterario di D’Annunzio nel 1925. Questa intervista, le tue domande e le mie risposte, è letteratura (il dialogo arriva dalla Grecia antica). In questa intervista, come nella tua recensione, usi con disinvoltura sintassi e lessici molto letterari, nel senso di colti, con rimandi a terminologia accademica, di ambito addirittura clinico psicanalitico (io niente di tutto questo, ad esempio, né in un’intervista né tanto meno nelle canzoni): sei più letteraria tu o lo sono di più io qui o nei Bachi Da Pietra? Lo siamo entrambi, però con scelte stilistiche opposte. Ancora una volta scelte, di stile. Ma si è letterari anche senza la consapevolezza delle proprie scelte di stile (quando uno stile agisce invece di essere agito). La lista della spesa della mia vecchia zia è letteratura; un fumetto, un verbale dei Carabinieri o il cazzeggio su Facebook o Twitter di chiunque è letteratura, ecc. Non ne sono consapevoli? Chi lo sa. Mia zia no di certo. Non è questione di supporto (pergamena, libro, post-it, vinile, cd, mp3, ebook, web…) o di autore (zia, anonimo, Dante, tu, io…); è questione di traccia (umana, storica, colta, popolare, significante o meno, meditata, estemporanea, eccelsa, mediocre, infima… ecc.). Definisco spesso le mie cose tracce d’insetto: è una metafora, lo faccio in senso consapevolmente letterario. Credo però che un mio testo sia meno pomposo di un testo pseudo-poetico preso a caso da un festival di San Remo, che magari ai tuoi occhi di letterario non ha niente e che invece infila cliché e stereotipi vecchi come il cucco (“…mio folle amore”). Per non dire poi del contesto: è il contesto e la storia a decidere che cosa è letteratura domani. Il contesto e la storia ci consegnano come letteratura anche la famosa lista della spesa della mia vecchia zia: tra tremila anni, dopo la quinta guerra atomica o settima età di mezzo dell’era post marziana (?). Diceva: “Fazoleti. Cotonfioc. Cartaculo. Mandaranci. Crecs. Dash. Mastrolindo. Punti”. Lo senti com’è letteraria? Occorreranno filologia, ermeneutica, antropologia per decifrare mia zia tra tremila anni. Quindi, tu cosa intendevi per riminiscenze letterarie in Quintale dei Bachi Da Pietra? La mia ricerca è stata quella di forme anti-letterarie adatte alla mia visione del rock’n’roll. Ho evitato come la peste stratagemmi che in realtà fanno la fortuna di molti altri colleghi nello stesso ambito. Questa ricerca è a tutti gli effetti letteratura. Come lo è questa intervista. Non perché hanno la pretesa di esserlo, ma perché lo sarebbero anche senza volerlo.

E musicalmente quali sono gli artisti che continuano a ispirarvi?
Soprattutto gli artisti conosciuti e amati in gioventù, quelli che ti segnano quando sei ancora tenero, continuano a influenzarti sempre anche dopo. Poi è tutta una correzione del tiro. Li prendi, fai un bel frullato, ci metti il tuo sputo, un nome diverso, li coniughi al presente e hai fatto una cosa che puoi dire già tua. Ma nessun insulto al maestro è peggiore di un allievo identico. Quindi frulla bene, senza pietà per nessuno. I maestri vanno traditi, è un dovere.

È fuori di dubbio che “Quintale” possieda l’aura dell’ultima parola, dell’ultimo sguardo prima di voltarsi dall’altra parte. Tuttavia non è un lavoro nichilista perché si avverte il tentativo di iniziare un nuovo cammino artistico. Dove volete arrivare nel vostro raccontare “ciò che resta”?
Fino alla fine del rock’n’roll.

Il Quintale tour è appena iniziato. Quali sono le vostre prime impressioni della resa live dei pezzi? Quale brano “reagisce” meglio dal vivo e come risponde il pubblico?
Il pubblico risponde numeroso come non mai il che è un gran bel segno. Portare la gente fuori di casa non è facile o scontato, con tutti quei bei programmi che fanno in TV. Ascoltano increduli la pietra e ne godono, ma per ora non sanno ancora cantare i cori. “Quintale” è uscito solo da un mese. Siamo ai preliminari, è normale. L’orgasmo in un pubblico adulto richiede più tempo.

Per concludere, se “Quintale” fosse un messaggio dentro la bottiglia e voi doveste lasciare un breve commento per descriverlo, cosa scrivereste? Che consiglio di ascolto dareste?
Prendete questa bottiglia e… completate la frase.

(Stefania Italiano)

18 febbraio 2013

foto di Gabriele Spadini

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