Psychic Ills, Death By Audio, Brooklyn, 25 maggio 2012

Strano come gli Psychic Ills abbiano avuto il loro momento di notorieta’ pur non avendo mai suonato, di fatto, in Europa. Merito in parte della Social Registry, una delle etichette piu’ underground dell’underground di Brooklyn. Etichetta che fino a qualche tempo sfornava nomi su nomi per il mainstream indipendente della Grande Mela. Sian Alice Group, Growing e soprattutto Gang Gang Dance. Poi trasmigrati su altri lidi. Gli Psychic Ills, dopo quel “Dins”del 2006, perfetta armonia di deliri drone ed estasi psichedeliche un po’ Barrett, un po’ Sixties, si sono un po’ persi. Nelle droghe? Nei deliri d’onnipotenza lisergica? Chissa’. Fatto sta che, dopo alcuni rimescolamenti in formazione, e il delirante (altro che onnipotenza) “Mirror Eye” e l’acidissimo (…) tour di supporto ai Butthole Surfers hanno riabbracciato il mainstream (indipendente). Con un disco da Black Angels on the road sulle strade del sud. La Social Registry e’ praticamente in crisi, loro sono finiti sotto Sacred Bones (Crystal Stilts, Zola Jesus, the Fresh & Onlys, Woods…) e si sente. O meglio l’orecchiabilità ne risente. Eccome. Ma oggi è un’altra storia. In una rara data off dal tour di supporto ai Dandy Warhols, il collettivo di Brooklyn torna nel lato oscuro di New York. Il Death By Audio è un tipico scantinato di Williamsburg. Indicazioni evasive. 2nd Street tra la Wythe e la Kent. Scarno passaparola sui social network come unica forma di promozione.

Non un cartello, non un adesivo a indicare l’ingresso. E scantinato a mala pena ristrutturato. In questi posti dove si annidano i veri hipster. Non quei surrogati europei che hanno sostituito le droghe con Instagram. Dove vestire in maniera casuale era ed è dettato da quello che passa per i thrift store, non dalle imitazioni del casuale a tinta unita di American Apparel. Che resta comunque l’unica catena tra i marcissimi magazzini dell’usato, bar improbabili e garage riadattati club proprio lungo la Kent Avenue, ex-terra di nessuno che costeggia l’Hudson affacciandosi su Manhattan. E che collega il quartiere degli ebrei ultra-ortodossi a quello degli hipster, ultra-ortodossi. In questi locali il biglietto costa come una mancia e il biglietto è un segno fatto col pennarello indelebile sul polso. Il puzzo da cantina è tutt’altro che nascosto. Ma fortunatamente si mischia ai fumi di sigarette ufficiali o potenziate.

Pareti affrescate in maniera discutibile sotto trip. Emblematico cartello SHIT FACTOR che campeggia sopra alla batteria. Tavolino di legno adibito a bar con alcolici da battaglia, manco fosse una festa in casa. E di festa col sorriso sulle labbra c’è veramente poco, tale è l’alienazione compiaciuta che si legge nelle facce dei presenti. Fauna a dir poco eterogenea. Tra nuovi grunge, immancabili hipster asiatici e tutto quello che passa in mezzo. Il free-noise degli ottimi PC Worship appesantisce subito le membra. Volumi, neanche quelli, legali. Sax stonato che taglia l’aria e batteria spaccatimpani. Sembra di avere a che fare con dei nipoti acquisiti, e incapaci, degli ZU. Ma l’impatto è a dir poco devastante. Aria consumata, stordimento generale, la serata scorre. A un orario normale (per gli standard europei) e non al consueto e talvolta scomodo “pre-serale” cui si abituano le platee negli USA, gli Psychic Ills con molta indolenza guadagnano lo pseudo-palco. La loro estetica rappresenta al meglio la vera anima del quartiere. Batterista che si prepara fumando con uno pseudo-stretching per strada, tastierista e chitarrista probabili esuli di band tributo agli Alice In Chains. E un rimasto e una rimasta leggermente più presentabili che non stanno capendo un cazzo di nulla dell’ambiente circostante a completare il quadretto. Purché funzioni, e infatti funziona.
Ormai lontani dai furori drone e mescal à la Brian Jonestown Massacre di “Dins” cercano di dare un senso alla svolta irrimediabilmente nostalgica di “Hazed Dream”. Più texani che newyorkesi, hanno rinunciato ad approfondire territori più sperimentali e coraggiose degli ex-compagni di label o degli amici Black Dice. Il primo EP “Early Violence” è lontano anni luce dagli ultimi due LP. EP perfetta premessa di “Dins”, bello non solo per la copertina con quel logo da t-shirt PSY-CHIC-ILLS con il quale il sottoscritto ha stufato conoscenti e amici per anni.

Sei o sette anni dopo la band è annegata in atmosfere care a Rodriguez e accomunabili ai Wooden Shjips. Le sonorità di “Incense Head” e “Mexican Wedding” (titoli che la dicono tutta) sono magnetiche e sinuose come l’affascinante e alienata Elizabeth Hart. Bassista e componente storica insieme al disturbatissimo frontman Tres Warren. La classe è intatta. Malgrado il piglio decisamente monocorde dei nuovi brani, i cinque riescono a rendere interessante questo revival freakettone da Summer Of Love in veste desert. Un po’ anche grazie a ripescaggi di lusso di “January Rain” e “Electric Life”, ipnotici e martellanti gemme del loro LP più acclamato. Il livello generale sale, il Death By Audio si chiude in una dimensione altera. I giri contorti di Warren si dirigono verso il nulla. E nel finale i drone portano finalmente a compimento quell’avvelenamento acustico e sensoriale che rende l’esibizione a suo modo irripetibile.
Il tutto, sempre e comunque, con estremo distacco.

(Piero Merola)

12 giugno 2012

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