MARLENE KUNTZ, “Canzoni per un figlio” (Sony Music, 2012)

Il 17 febbraio 2012 mi sono emozionato, come non mi capitava da tempo. La nostra RAI nazionale ha trasmesso l’esibizione dei Marlene Kuntz assieme alla poetessa del rock Patti Smith sul palco dell’Ariston. La signora ci ha deliziato cantando la scontata ma eccezionale “Because the night” (dedicandola al marito defunto Fred “Sonic” Smith) e recitando sulla coda finale di “Impressioni di settembre” della PFM. Sarebbe ingiusto attribuire il premio “Viva l’Italia nel mondo!” solo ed esclusivamente alla Smith, visto che pure i Marlene hanno fatto un’ottima figura nella riproposizione di una canzone sicuramente impegnativa.
L’emozione di questo live è sbiadita ascoltando la raccolta “Canzoni per un figlio”, disco che ipoteticamente dovrebbe riprodurre alcune delle più belle canzoni composte dal gruppo di Cuneo.
Partirei dalla citazione di Aurelio Pasini, datata 2003, che descriveva l’evoluzione dei Marlene ai tempi dell’uscita di “Senza peso”: “Se prima li si accusava di assomigliare troppo ai Sonic Youth, ora che hanno raggiunto una nuova dimensione, più personale e più vicina ai canoni – anche melodici – della canzone tradizionale, c’è chi li taccia di essere diventati troppo commerciali rimpiangendo la spontaneità dei primi lavori. Insomma, una band che fa discutere, il che di per sè è già positivo, e che al contempo non smette di crescere”.
Condivido il fatto che le esperienze della vita e sulla strada permettano ad ogni artista di evolversi e di reinventarsi, capisco la volontà di esporsi mediaticamente per avere la possiblità di aumentare il proprio bacino d’utenza, posso mal digerire l’attaccare pubblicamente i propri fan bigotti, prima dell’uscita di “Ricoveri virtuali e sexy solitudi” per essere rimasti ancorati alle prime composizioni (“Catartica”, “Il vile”, “Ho ucciso paranoia”).

Quello che non riesco a capire è se i Marlene Kuntz ci stiano prendendo in giro. “Canzone per un figlio” non convinceva, non trovo così scandaloso il fatto che sia stata esclusa dalla fase finale del Festival di Sanremo. Il testo è a mio avviso troppo debole (“Se non sai quello che vuoi, l’infelicità sarà spesso incomprensibile…”), la musica è quanto di più pop, nell’accezione meno nobile del termine, potessero comporre e la tromba di Roy Paci la rende quasi imbarazzante in alcuni momenti.
Ma la presa per i fondelli continua con “Trasudamerica”, uno di quei brani con cui ti accosteresti con timore reverenziale. Vero che chi la esegue su questo disco è chi l’ha composta, ma in alcuni momenti ne ho persino dubitato. Pensavo piuttosto ad una cover band di ottantenni in salsa mariachi che si diletta alla festa di paese mentre sbevazza tequila.
In 64 minuti di durata salvo veramente poco, pochissimo. “Io e me”, che reputavo uno dei brani migliori targati Kuntz degli ultimi anni, assume una veste totalmente elettrica, dilatandosi ben oltre la durata media delle altre composizioni qui contenute, rendendosi così molto più appetitosa rispetto alla versione originale. Altra nota di pregio “Lieve”, un pezzo talmente bello da commuovere, qui riproposto in maniera rispettosa e molto didattica.
Nutro rispetto per il coraggio di rischiare, per la figura controversa e affascinante di Godano, per la voglia di proseguire su un percorso cantautorale che è emerso prepotentemente ai tempi di “Uno”. Quello che non posso negare è che “Canzoni per un figlio” non mi è piaciuto per niente, non lo consiglierei mai a un neofita di questa band perchè questo disco è una copia sbiadita e fotocopiata di uno splendido spartito che dal 1989 si chiama Marlene Kuntz.

(Matteo Ghilardi)

35/100

24 febbraio 2012

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