KASABIAN, “Velociraptor!” (Columbia, 2011)

Ai tempi dell’esordio avevamo scritto che se anche i Kasabian avessero deluso qui c’era da mandare tutti a vendere i broccoli. Col senno di poi, e con con questo “Velociraptor!” in mano, i nostri nefasti presagi non si sono – per fortuna – avverati, ma nemmeno abbiamo trovato salvatori della patria (inglese).
Certo, oggi la band di Leicester gode di una notorietà enorme che però è più frutto della mancanza di altri sulla scena (leggasi Oasis) e della necessità anglosassone di trovare nuovi fari del british-pop ed eredi della tradizione che fu più che di meriti propri. I Kasabian sono perfettamente consci di tutto ciò, e ci sguazzano (bene). Un esempio su tutti: citano i Beatles in “La Fée Verte” sia musicalmente come costruzione armonica sia in modo agiografico ed espresso perché cantano “Old green fairy, what you’ve done to me / I see Lucy in the sky telling me I’m high” (da notare che online si trovano delle versioni del testo in cui l’inciso “Lucy in the sky” è sostituito da “There’s a nothing in the sky”, per cui dubitiamo dell’errore del compilatore e riteniamo più attendibile che ciò si riferisca ad una versione probabilmente precedente a quella su disco, manifesta volontà di uscire dall’equivoco della citazione tacita per ribadire con forza quali sono i loro “padri” musicali). Cosa ovvia e scontata, citare i Beatles, ma qui assume una valenza simbolica molto forte, quasi volessero dire “da lì veniamo e quella è la strada che seguiamo, ai nostri giorni”.

Per cui si amplificano le orchestrazioni con risultati ottimi nell’iniziale “Let’s Roll Like We Used To”, dove invero siamo più dalle parti dei The Last Shadow Puppets, ma la voglia di pop crea brutti scherzi nelle stucchevoli “Goodbye Kiss” e “Man of Simple Pleasures” (quest’ultima brutta copia dei peggiori Duran Duran). Insomma, risultati alterni, con maggiore calo di interesse proprio sul campo in cui i Kasabian si sono spesi con più impegno.

A parere di chi scrive invece i Kasabian sanno fare ancora benissimo (e meglio) il loro mix di rock acido figlio dei Kula Shaker e nipote di una certa cultura hiphop e di loop elettronici come nel singolo “Days Are Forgotten” e soprattutto nella coinvolgente “Switchblade Smiles”, degne eredi – rispettivamente – della ancor oggi attuale “Club Foot” e della meravigliosa “Reason Is Treason” del primo disco. Ma probabilmente non è quello che loro vogliono fare oggi, o meglio non è solo quello. Ed è un peccato.

65/100

(Paolo Bardelli)

3 ottobre 2011

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