JENS LEKMAN, “An Argument With Myself EP”, (Secretly Canadian, 2011)

Cara Valentina Lodovini,

non so esattamente perchè ti scrivo una lettera d’amore in forma di recensione (o una recensione in forma di lettera d’amore) ma credo che ormai tutto sia possibile o anche lecito, visto e considerato che le distanze tra l’empireo semidivino delle celebrità e il mondo sublunare di noi comuni mortali sono ormai più sottili di un foglio di giornale (è questo in fondo il significato della rivoluzione copernicana della società dello spettacolo, o sbaglio?). Tant’è vero che uno dei miei eroi dichiarati, ovvero Jens Lekman, ha appena pubblicato un nuovo piccolissimo album (anzi: EP, meglio essere precisi se si può), dopo ben quattro interminabili anni di silenzio discografico, contenente, tra le altre cose, una canzone intitolata “Waiting For Kirsten” e dedicata a Kirsten Dust, attrice bellissima e valorosa esattamente come te. In questo delizioso epigramma folk-pop Lekman racconta per l’appunto, col suo consueto umorismo svedese, del mancato incontro, davvero per un soffio (il testo è sin troppo esplicito “In Gothenburg we don’t have VIP lines/ In Gothenburg we don’t care who you are/ The VIP lines aren’t to clubs/ but to health care, apartments, and jobs”) con Kirsten Dust, sua fan, all’uscita di un club, nella nativa Goteborg. Non so se sei d’accordo anche tu ma, ascoltando questo brano, mi viene da pensare che tutte le canzoni più belle (e “Waiting For Kirsten” è senz’altro una di queste) parlino sempre e soltanto di cose che non sono accadute davvero, percorrendo lo spazio infinito o la vertigine che separa i desideri dalle cose reali.

All’interno di questa piccola cartolina che Lekman ha inviato a se stesso, nel suo trentesimo anno di vita, sono finiti pezzi (cinque in tutto) che, a detta del loro autore, non rispecchiavano appieno lo spirito musicale dell’album vero e proprio, ancora in lavorazione ma di imminente uscita. Ecco, io ti consiglio di ascoltare con la dovuta attenzione le invenzioni di questo gigante stralunato e vezzoso della canzonetta pop, l’unico, a pensarci, che può oggi afferrare a quattro mani un ukulele per cantare le sue paure (che sono poi anche le nostre) o il gioco senza fine delle manie più inspiegabili, senza per questo risultare ridicolo. Come si fa a non ammirarlo? Dovresti ad esempio soffermarti un secondo sul pezzo che dà il titolo all’EP e osservare l’arguzia sottile di Lekman mentre, con agile eclettismo costelliano, esplora a bordo di un brigantino in legno leggero l’arcipelago assolato dell’easy listening tutto, passando da un samba sbarazzino cotto in salsa calypso (che rievoca certi vecchi scherzi alla Matt Bianco o Haircut 100), fino alla postilla finale di un reggae in punta di flauto o magari mandolino (“So This Guy At My Office”). Davvero una grande lezione.

Bisticcia con se stesso Lekamn e nel frattempo, “morrisseyanamente” (perdona l’avverbio), trasforma tic e nevrosi tascabili da romanticismo post-storico in un motivo d’orgoglio, o, meglio ancora, in una strategia di sopravvivenza, disegnando poesie in grafia bislacca sulla solitudine inguaribile di un mondo che forse non ci somiglia più tanto. Ti è mai capitato di scrivere frasi o versi sul vetro appannato di una finestra o di uno specchio? Come uno Steve Martin che manovra orchestre immaginarie, costruite con mezzi di fortuna e percussioni elettroniche ai limiti del karaoke vacanziero, o come un Roy Orbison che ci chiede con mano languida di seguirlo lungo nuove direzioni della nostalgia (e in “New Directions” fornisce anche precise indicazioni topografiche a riguardo), Jens Lekman ha ormai il sapore classico delle cose che esistono da sempre. E quando parte “A Promise” (forse la pepita più luminosa) mi illumina l’idea di salpare con te a bordo di un goletta leggera, alla volta dei mari del sud, per sprofondare il dolore nella vibrazione castana dei tuoi occhi così netti e precisi, mentre la mano scivola tra i capelli pizzicando le corde di un “Lalala I Love You…” (vedi “So This Guay At My Office”) così felicemente risaputo e quasi banale da consegnarsi allo sguardo come l’ultima verità. E tutto questo sarebbe bellissimo, sembra dirci Jens Lekman, solo e soltanto perchè non è mai successo e mai potrà succedere. In un certo senso questa è la nostra unica fortuna, se ancora ci lascia la libertà di immaginare un epilogo differente…

Sempre Tuo.

70/100

(Francesco Giordani)

27 Settembre 2011

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